Alberto Costa
Al Palazzo della Gran Guardia si spengono le luci di Amarone Opera Prima 2024, edizione che ha raggiunto il sold out in entrambe le giornate. Oltre a celebrare il traguardo dei vent’anni dall’esordio, in questa occasione ci si è soprattutto interrogati sul futuro del Re dei rossi veneti alla luce dei cambiamenti climatici, delle nuove dinamiche di consumo del vino locali e mondiali e del loro sviluppo sui mercati. Il partecipato talk, condotto dal Presidente del Consorzio Valpolicella Christian Marchesini, affiancato dal suo vice e Master of Wine Andrea Lonardi e dal responsabile dell’Osservatorio UIV Carlo Flamini, ha lanciato la sfida verso un Amarone sempre più competitivo e contemporaneo, in grado di proporsi come fine wine: un vino che vada oltre lo stile muscoloso, strutturato, ricco e concentrato, quasi da consumo fuori pasto, per approdare a un modello concettualmente più raffinato, più identitario e comunicativo. Un cambiamento di rotta deciso che deve essere condiviso dai produttori di questo iconico vino e che potremmo definire “una rivoluzione culturale” che ci vede indirettamente coinvolti, come associazione, nel racconto qualificato della trasformazione in atto.
L’anteprima dell’annata 2019 sembra darci un saggio di quello che sarà il futuro, lasciando intendere che l’odierna vision è frutto di una ben più precoce intuizione delle aziende vinicole, come peraltro avevamo già avuto modo di rilevare descrivendo la scorsa edizione.
Quest’anno, tra i calici che già sembrano ispirarsi alla nuova idea di Amarone spiccano le etichette di Cantine di Verona Sca–Cantina Valpantena, Marion, Pasqua Vigneti e Cantine, San Rustico dal 1970, mentre si è distinto per un tratto più aderente alla old school Il Vino degli Dei di Bottega Spa. Continuano a presentare riconoscibili tratti territoriali i vini di Stefano Accordini, Roccolo Grassi e Tenuta Villa Bellini. Interpretazione da sempre molto personale quella di Cà dei Frati con il suo Pietro Dal Cero.
Tra i campioni da botte, Santi colpisce per la potenza balsamica all’olfatto e la già apprezzabile piacevolezza della beva; di Villa Canestrari si apprezza la struttura e la robustezza del sorso che alla potenza affianca una generosa persistenza gustativa. Terre di Leone “spettina” letteralmente la bocca con una freschezza che preannuncia un grande futuro, mentre di Talestri, oltre a una proverbiale pienezza del sorso, sottolineiamo l’ampio ventaglio olfattivo che a un’eccellente spezia aggiunge una particolare nota ematica e ferrosa. Anche l’Amarone di La Giuva si mette in luce per eleganza olfattiva e gustativa con un appassimento gestito in modo fine che restituisce cenni di zest d’arancio sia all’olfatto che al palato.
Tra le new entry del panorama amaronista si distinguono due realtà dell’est veronese: Sabaini, nell’alta Valle d’Ilasi, con un Amarone che soddisfa palati alla ricerca di un buon equilibrio dal taglio internazionale e Bronzato che con il suo bio della Val Squaranto gioca più sulla freschezza e affilatura della beva.
In conclusione, nell’ampio ventaglio dei vini degustati al banco d’assaggio si è colto come siano ancora tuttavia centrali e predominanti lo stile e la progettualità di chi il vino prima lo pensa e poi lo produce. Per quanto riguarda la prospettiva di longevità, l’annata 2019 sembra presentare un buon potenziale, senza difettare in freschezza e bevibilità. L’attesa, come spesso accade, potrà riservare belle sorprese; tuttavia, considerando i tanti cambiamenti in corso, sarà solamente il tempo a restituirci le risposte all’interessante enigma posto da questa nuova intrigante sfida.