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Dalla redazione
martedì 2 giugno 2020

Vino domestico

Ritorno al futuro?

Marco Aldegheri


Le restrizioni imposte per arginare la diffusione di Covid 19 hanno messo a nudo la nostra profonda necessità di socializzazione. Non possiamo farne a meno, è nella nostra natura. Si è visto anche in queste ore dove la riapertura alla cosiddetta fase 2 è diventata la cronaca di evidenti segnali di “crisi d’astinenza”. Al rientro in una parvenza di normalità, prima al solito di dimenticare tutto velocemente, facciamo un piccolo passo indietro.

l ci ha costretto bene o male ad escogitare le soluzioni più varie per far scorrere le nostre giornate. Tra le mura amiche abbiamo fatto di tutto, dando fondo a tutte le nostre risorse creative. Ma se dovessimo stilare una speciale classifica delle attività più diffuse, sul podio troveremmo le cose più semplici che avevamo dimenticato, in particolare cibo e vino che hanno catturato l’attenzione di tantissimi di noi.
L’italiano medio ad esempio, lo confermano i dati della grande distribuzione, è tornato a sporcarsi le mani nella farina: pizze, torte, focacce, la sfoglia per i più bravi, hanno messo a dura prova forni e fornelli di casa in queste settimane, e alla lunga anche la bilancia. Nel frattempo gli aperitivi virtuali impazzavano nelle maglie del web mentre altri davano fondo alle scorte della cantina di casa. Sembra pure che la vendita di vini online, anche della categoria premium, sia sensibilmente aumentata.

Un concentrato surreale di scene da normale vita casalinga ci ha consentito di riappropriarci di una dimensione familiare, che a molti di noi mancava un po’, ammettiamolo.
Lo stesso vino pare abbia riconquistato per qualche mese un rapporto diverso con il consumatore segregato. Recisi forzatamente i legami con i luoghi del rito, dalla cena del ristorante alla movida del wine bar, il vino non poteva che accontentarsi di finire sulla mensa di casa, con la stessa facilità con cui ci arriva il cestino del pane o un piatto di pasta, e chissenefrega se il calice non è quello giusto.
Ci è capitato così di bere più spesso con i familiari, anche quelle bottiglie importanti che conserviamo gelosamente, e di consumarle in modo molto informale, a tavola o sul divano, sul balcone o in giardino, in ciabatte o in tuta, ben lontani da affollati happy-hour o curati ristoranti. Questo distacco dai luoghi abituali ha reso anzi ancora più insopportabile l’esibizione online di tanti sommelier, giornalisti, produttori, che tentano tuttora di recuperare artificiosamente il legame con il vino e il proprio pubblico.

Il risultato finale del lockdown potrebbe essere una idea di vino decisamente più a misura di consumatore. Curioso in proposito notare come nel contesto familiare questa bevanda potrebbe aver riconquistato una dimensione di alimento smarrita almeno 50 anni fa. Un paradossale passo indietro, proprio nell’era del lifestyle dove il vino si identifica come elemento identitario.
Sarà un effetto duraturo? È molto presto per dirlo, ma in cuor mio ci spero.
Riconquistare uno spazio di consumo familiare e, perché no, anche un sobrio rapporto quotidiano con il vino, farebbe bene soprattutto alle nuove generazioni. E ci aiuterebbe a riportare una volta di più sul terreno dell’educazione l’abitudine al consumo consapevole.
Dopo il virus, potrebbe essere il nostro “ritorno al futuro”. Nel vecchio film di Zemeckis è Christopher Lloyd, nei panni del dottor Brown, ad ammonirci: “Il futuro è come ve lo creerete voi perciò createvelo buono!"

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