Pietro Polato
La ricchezza ampelografica del nostro Paese permette di produrre a livello regionale delle vere e proprie chicche enologiche, dei vini di grande impatto gustativo, originalità e soprattutto legati ad una lunga tradizione territoriale. Tra questi vitigni autoctoni pre-fillossera ce n’è uno del Veneto di grande importanza storica che interessa soprattutto le province di Treviso e Padova: il Raboso Piave, vitigno iscritto nel registro nazionale delle viti da vino fin dal 1970. Il nome, l’etimo, sembra sia legato ad un affluente torrentizio del Piave, il Raboso appunto, e vanta tra i sinonimi il termine Friularo, che deriva da “frio”, cioè freddo data la maturazione tardiva oppure dalla regione del Friuli, in quanto i confini storici arrivavano alla destra del Piave. La versione più accreditata è che il nome sia frutto della sensazione gustativa legata ad una imponente acidità e tannicità che lo rende “rabbioso” in bocca.
Al di là delle disquisizioni linguistiche, un’azienda che ha saputo valorizzare questo vitigno, sia per la qualità dei prodotti, sia per la ricerca sperimentale e valorizzazione storica, è la Cecchetto Giorgio di Tezze sul Piave (TV), nata nel 1994 che, il giorno 23 gennaio, ha ospitato la delegazione AIS di Venezia.
Per fare del buon vino serve produrre dell’ottima uva ed ecco che la visita ha inizio in campagna, nel vigneto, guidati dal figlio Marco che con grande proprietà del linguaggio tecnico ma anche semplicità ha saputo spiegare gli aspetti più importanti della coltivazione del Raboso: le diverse forme di allevamento che si sono succedute nei tempi, dalla raggera Belussi al Guyot, passando per il Sylvoz, la potatura medio lunga dovuta all’infertilità delle gemme basali, una forma di lotta fitosanitaria integrata in modo da avere il minimo impatto ambientale nella gestione del vigneto. Quindi grande attenzione e rispetto dell’ambiente. L’azienda coltiva circa 200 ha di vigneto con una parcella addirittura del 1970. La vendemmia è manuale con tre passaggi in base alla tipologia di Raboso da produrre. Di grande importanza, ai fini della ricerca, il campo sperimentale con 54 biotipi diversi allevati in differenti sistemi.
In cantina innovazione e tradizione, tecnologia ed esperienza si fondono. Troviamo fermentini in acciaio con controllo elettronico dei rimontaggi e delle follature, ma anche maestose botti in legno e barrique per l’affinamento. Barrique e tonneau di essenze legnose diverse, alcune di queste legate alla flora del territorio come i preziosi caratelli in legno di gelso.
Dalla cantina alla sala degustazione si passa attraverso il fruttaio dove viene appassita l’uva con un costante controllo della ventilazione e della temperatura: ben 5 sono i mesi che i grappoli di Raboso rimangono in appassimento.
La sala degustazione, molto accogliente e ben preparata, ci riserva 6 vini all’attenzione dei nostri sensi.
È a questo punto che il Sig. Giorgio ci riserva una sorpresa, a conferma della capacità di “élevage” del Raboso.
La delegazione AIS di Venezia nell’accomiatarsi rende grazie all’azienda Cecchetto per l’ospitalità ma soprattutto per questa grande testimonianza di impegno a valorizzare il vitigno Raboso e il suo territorio.
[foto di Bruno Bellato]