La nuova vita di Richard Geoffroy, per ventinove anni chef de cave di Dom Pérignon
di Luciano Ferraro
“Guardo avanti, ho una nuova visione”. Richard Geoffroy scruta dall’alto Milano. È una notte d’autunno, sulla vetta del palazzo più alto d’Italia il sorriso dell’uomo del vino più celebrato al mondo si spegne per un attimo. City Life, Torre Allianz, quarantasettesimo piano. Un ascensore trasparente in pochi secondi trasporta dalla terra al cielo. Le strade, i grattacieli, i monumenti di Milano: tutto sembra silenzioso visto da quassù. Ci sono 130 persone che attendono Richard. Abiti scuri, gioielli, luci basse. Le pareti sono ricoperte di colore nero, con gli scudi di Dom Pérignon, la maison per cui Richard ha lavorato per 29 anni. Un periodo infinito nel quale ha trasformato una bella addormentata in un simbolo mondiale del lusso. Si è fatto guidare da due parole: armonia e energia. Il risultato è stato l’eleganza come filo conduttore. Un misto di sobrietà e clamore, legami con la tradizione e esplorazioni del futuro. Ora che tutto questo sta per finire, per Richard non è il momento dei bilanci, ma di una nuova sfida. Sempre sulla strada dell’eleganza.
La forza dell’armonia
Tra i tavoli dei migliori clienti europei di Dom Pérignon, Francesco Cerea volteggia e serve i suoi piatti tristellati. Richard sale sul palco, parla brevemente con a fianco il suo successore, Vincent Chaperon, suo vice da 13 anni. Chi lo conosce assicura che è commosso. Ma lui non lo lascia intravvedere. Sembra il solito: geniale e divertente, un pacato rivoluzionario, un intellettuale in grado di creare con le parole immagini sorprendenti e di trasformarle in champagne sempre irripetibili.
“La qualità è una creazione estetica – riflette –. Lo Champagne è un grande vino, così si diceva negli anni Novanta. Ed era quasi un modo per rassicurarsi, per dimostrare che in fondo eravamo allineati. Sono invece convinto che lo Champagne sia avvolto da un’aurea magica. La realizzazione di questa magia sarà compiuta quando si parlerà solo di Champagne, non di Champagne come vino”. Sembra una definizione di un prodotto, una scelta di posizionamento, come la chiamerebbe un esperto di marketing. Per Richard, alla vigilia della fine dell’incarico di chef de cave a Dom Pérignon (dal primo gennaio 2019 lascerà il suo posto a Vincent, anche se continuerà a collaborare con la maison), l’unicità dello Champagne è una visione del mondo. Lo si capisce da come carica di significati le sue creazioni in bottiglia. Nonostante siano prodotte in grandi quantità (si parla di sei milioni di bottiglie, anche se il gruppo LVMH che possiede Dom Pérignon non fornisce cifre ufficiali), le bollicine firmate da Geoffroy contengono anche una riflessione geopolitica. Come spiega Richard, “la missione di Dom Pérignon è dire al mondo che l’armonia è intensa. In un periodo storico che si fonda sui giochi di potere e sulle ingiustizie, non solo nel mondo del vino, vogliamo dimostrare che l’armonia è più forte”.
Quando si tratta di tradurre sotto forma di bollicine questo concetto, Richard Geoffroy fa servire l’ultimo nato della maison, il Dom Pérignon 2008. “È atletico e forte, sembra Usain Bolt”, il velocista giamaicano, il più grande di tutti i tempi. “Come il campione ha muscoli allungati, è un miracolo della natura, carnoso e pieno di energia”. Allo chef de cave ricorda l’annata 2003, “la madre di tutte le sfide, con quella ondata di caldo che ci costrinse a vendemmiare il 22 agosto, la raccolta più precoce dal 1822”.
“Bisogna aspirare alla magia”, ripete Richard, mentre Vincent descrive il Rosé 2006, “uno Champagne oltre le aspettative, che canta e danza, con struttura e potenze bilanciate dalla tensione”.
Il nuovo Re Sole
L’eleganza voluta da Richard è il tratto distintivo della maison. È contenuta in ogni dettaglio. Nell’abbazia di Hautvillers, il suo regno, in cui ha governato da sovrano illuminato per quasi tre decenni, ha fatto togliere ogni riferimento a Dom Pérignon. L’unico scudo-etichetta è riprodotto sul porta ombrelli all’ingresso della pinacoteca che raccoglie le opere di artisti assoldati per le campagne di questo Champagne. In una sala dall’aspetto monacale, con un grande tavolone al centro, nessun arredo, e sommelier in guanti bianchi, Richard accoglie ancora gli ospiti, invitandoli ad ascoltare, assieme al carattere dello Champagne, il suono delle campane del luogo dove è sepolto l’abate che pensò alle bollicine guardando le stelle.
II padre di Richard era il presidente del sindacato dei vignaioli. “Un uomo di cui ancora adesso si ricordano i produttori della Champagne”, assicura il figlio. “Avevo bisogno di staccarmi dal mondo di mio padre e studiai Medicina”, racconta. “Ma non ho mai indossato il camice, la mia ribellione è finita presto. Sono tornato alle mie radici. La laurea è rimasta nel cassetto e sono volato nella Napa Valley. E ho imparato le tecniche della spumantizzazione da John Wright, un vecchio hippy. Poi Moet & Chandon mi ha spedito in Australia e in Argentina. Mi è stato utile per avere una visione estetica, aldilà del vino. Poi ho potuto tornare a casa.”. E al termine di questo giro del mondo Richard Geoffroy è stato scelto per ridare vita a Dom Pérignon. “La maison era chiusa in una sorta di silenzio – ha confidato a Le Parisien – c’era bisogno di una nuova fase creativa, non solo di tecnica, bisognava ricreare la magia”.
Anno dopo anno è diventato il Re Sole delle bollicine, l’alchimista che assembla annate e vitigni per creare lo stile della maison di Bernard Arnault a Épernay. Ha voluto solo champagne millesimati e ha ideato il sistema delle P, una svolta. Ha stabilito tre fasce di longevità: gli Champagne P1 sono affinati per almeno 8 anni nelle cantine a 11° e 80% di umidità; P2, per 15 anni; P3, per 20 anni. I suoi Champagne incarnano il concetto di eleganza come ricerca dell’essenza, talmente spinta da trasformare la complessità in semplicità. “Sì, la purezza, l’evidenza. Ciò che parla da solo, da un insieme complesso”, è sempre stato il suo obiettivo. Ed ora, conclusa la missione con lo champagne, si dedicherà con la stessa visione al sakè.
La vita
Richard Geoffroy nasce nel 1954 a Vertus (Marne), nel cuore della Champagne. Nonostante la famiglia si occupasse di vino da sette generazioni, studia Medicina e si laurea nel 1982. Poco dopo ci ripensa e inizia gli studi di Enologia alla Scuola nazionale di Reims. Concluso questo ciclo, Moet & Chandon gli offre uno stage in azienda. Nel 1990 diventa chef de cave di Dom Perignon, prendendo il posto di Dominique Foulon. Come testimonial ha ingaggiato star del calibro di David Lynch, Karl Lagerfeld, Jeff Koons e Lenny Kravitz. Ha tre figli che vivono in Gran Bretagna, Giappone e Singapore. Ha una cantina privata molto limitata, perché non colleziona vini.
Articolo originariamente apparso sul numero 2/2018 di Vinetia Magazine.