Morello Pecchioli
Ci sono due parole che non gli sentirete mai dire perché le ha cancellate dal suo lessico: chef e guida. A parte le due voci scomunicate, Arrigo Cipriani è un fiume di eloquenza. O, meglio, è un Canal Grande di vocaboli, accenti, verbi, motti: eleganti, solenni, risoluti. Come il mitico Canale che taglia in due la città. Mister Harry’s Bar parla come mangia e siccome mangia come un doge, non teme di dire pane al pane e vino al vino. Ne ha per tutti, anche per il papa, come vedremo.
Completo giallo brillante in lino purissimo, Cipriani scintilla come Venezia sotto il sole settembrino. Siamo all’Harry’s Dolci, il locale che ha aperto in Fondamenta San Biagio, alla Giudecca. La città ci sta davanti, spalancata sul grande canale luminosa e splendida come la vedeva Diego Valeri: C’è una città di questo mondo, / ma così bella, ma così strana, /che pare un gioco di Fata Morgana /e una visione dal cuore profondo.
Una visione che Cipriani ha esportato nel mondo aprendo 25 locali tra Londra e Dubai, Hong Kong, New York e Riad. Vi lavorano 3.000 persone e 70 cuochi. All’oste del mitico Harry’s, il bar più famoso d’Italia, tutto ciò non bastava. Ha messo su un pastificio che sforna spaghetti, tagliolini, rigatoni e altri tipi di pasta come piace a me, un caseificio dove casari campani trasformano latte di bufala in candide mozzarelle, una pasticceria che sforna biscotti, fugasse, meringhe e panettoni e una gelateria. Il tutto per i suoi ristoranti e il Cipriani Food, l’e-shop aperto in internet. Prima del Covid, che lo ha costretto a chiudere molti ristoranti, il fatturato s’aggirava sui 200 milioni di euro. Poi è scoppiato il coronavirus. E qui Cipriani comincia a sparare a zero su lustri e illustri. “A New York il governatore Cuomo e il sindaco Bill de Blasio hanno trasformato la metropoli in città fantasma. Un delitto. Un grande danno dovuto alla loro ideologia. L’uomo ideologo è un coglione. Lo scriva pure”.
Lei è un uomo che non sta mai fermo nonostante gli 88 anni. Corre. Talvolta troppo se è vero che lancia la sua Mercedes AMG 6.3 a oltre 200 chilometri all’ora.
È vero. Sono un grande appassionato di motori. Ho un’automobile straordinaria che mi dà energia. Ho fatto anche i 250.
Ma dove? Non le pare una pazzia?
Dove non ci sono autovelox. Cosa vuole, la velocità mi diverte.
Ma un veneziano, e per di più di quasi 90 anni, non dovrebbe darsi una calmata?
E perché mai. Sto bene. A Venezia si usano le gambe, ma fuori no.
Ci racconti la sua Venezia.
Mi sveglio sempre col silenzio della città ed è la cosa più bella che ci sia. Ho la fortuna di spalancare la finestra di casa sulla chiesa del Redentore del Palladio. A Venezia si capiscono tante cose, molte di più che nelle altre città. Molto potente è il respiro lento della marea, della natura. In questo rapporto con la mia città riconosco che l’esperienza di lockdown è stata positiva. Ho visto la città nuda, vuota e per la prima volta ho capito l’anima di Venezia, io che non credo nell’immortalità dell’anima. L’anima muore con l’uomo. L’uomo mette l’anima nelle cose che fa, in un quadro, in un libro, in una costruzione. E lì resta per sempre. A Venezia ogni casa è diversa dall’altra. Venezia è stata fatta casa per casa, chiesa per chiesa, palazzo per palazzo. La diversità è l’anima di Venezia.
Torniamo in cucina.
Bisogna distinguere tra cucina vera e finta. Quella vera la facciamo noi, i cuochi che tengono conto della cultura, quella finta tutti quelli che scopiazzano la cucina francese. La svolta che ha rovinato la cucina italiana è avvenuta nel ‘68 con la rivoluzione dei ricchi.
Dei ricchi?
Le rivoluzioni di solito le fanno i poveri, ma questa della cucina l’hanno fatta i ricchi: quattro deficienti (lo scriva, mi raccomando) di intellettuali che hanno deciso di uccidere la tradizione. Come? Scoprendo la forma. In Francia tre quattro cuochi-picasso, che però sapevano cucinare piatti straordinari, hanno lanciato la nouvelle cousine che in Italia è stata copiata male. Noi italiani abbiamo il dono del gusto grazie al quale abbiamo creato piatti straordinari. Poi arriva la Michelin che premia chi copia la cucina francese. Diventa bravo chi mette la curcuma dappertutto. Le stelle sono il premio della bontà. Ma non è bontà italiana, è scopiazzatura.
Canavacciulo, Barbieri, Cracco, Vissani sono considerati gli eroi della moderna cucina italiana, non può negarlo.
Per l’amor di Dio... È solo gente che fa i soldi con trasmissioni finte. Dove si recita. Meno male che la televisione ha una grande qualità. Si può spegnere. La vera cucina è gioia, l’unico piacere che si rinnova due volte al giorno. Non dev’essere un esame, la ricerca del pelo nell’uovo. Il gusto dev’essere complessivo, omogeneo, armonioso. Non sparpagliato nel piatto. Nel fegato alla veneziana non devo sentire solo la cipolla che va cotta a lungo, a fuoco lento per amalgamarsi col fegato. Vale anche per la trippa, le seppie, il baccalà. Ieri ho mangiato un baccalà alla vicentina straordinario. Spero che sia avanzato anche questa mattina.
Baccalà a colazione?
E perché no? I Romani facevano colazione con il cibo avanzato dalla cena.
Ristoratore, oste all’Harry’s Bar, imprenditore, lei è anche un prolifico autore di libri. Qualcuno ha detto che ha una penna luciferina.
Non credo in Dio e nemmeno a Lucifero. Cerco di usare la penna con l’inchiostro dell’umorismo. Vedo tanta gente in giro disfattista, che non capisce niente.
Non le pare di essere presuntuoso?
Altroché se lo sono. Sa qual è la mia più egoistica e infantile ambizione? Arrivare tra i primi al semaforo rosso e bruciare tutti al verde. Faccio i 200 all’ora in 11 secondi.
È vero che è cintura nera?
Vero. Cintura nera al terzo dan. Il karate mi ha aiutato molto. È lo studio del movimento del corpo. È come guardare in uno specchio dentro di noi. Mi ha aiutato a conoscere i miei limiti. Sarei morto senza karate. Sì, mi alleno ancora. Di sera prima di andare a letto: elastici, pesi e pugni al sacco. È la mia preghiera serale.
Perché non vede di buon occhio i Sommelier?
Perché c’è molto trucco nel mestiere. Non ho Sommelier e ho eliminato dai miei ristoranti i bicchieri a calice. Si beve in quelli di una volta. Sa cosa mi ha detto Frescobaldi all’Harry’s Bar? Finalmente ho bevuto come intendo io.
Cipriani è un veneziano nato a Verona. Cosa pensa dell’imperatore dei vini, l’Amarone?
Sono nato a Verona per caso nella casa di mio nonno ferroviere perché la nonna stava poco bene e la mamma era a Verona per assisterla. Verona ce l’ho nel cuore. L’Amarone? Non è un vino da pasto e glielo dice uno che ha vinto il premio Civiltà Veneta organizzato da Masi che l’Amarone lo fa benissimo. Un vino da meditazione? Non ho mai capito cosa voglia dire. Secondo me il difetto dei vini italiani è proprio la gradazione. I francesi fanno vini di 12,5 gradi. È la differenza tra l’euforia e l’ubriachezza.