Morello Pecchioli
“Scrivilo in stampatello: non sono un esperto di vino. Sono solo un turista”. La premessa è traumatica. Ma come, pensi, intervisto Patrizio Roversi, turista per caso, velista per caso, per anni conduttore di Linea Verde, territori vitati, cantine, vignaioli, e questo mi viene a dire che è incompetente? Poi cominci a parlare e capisci che l’uomo, di vino, se ne intende. La modestia, autentica, palpabile, fa onore a Patrizio Roversi, personaggio televisivo conosciuto e benvoluto. Lo senti a pelle che la persona è autentica. Se c’è una cosa che Patrizio non sa cosa sia, è la spocchia del personaggio pubblico. Perciò disobbediamo al comando del simpatico ragazzotto dai capelli bianchi arruffati (sempre tale è anche se ha quasi 66 anni) e riportiamo la sua premessa per dovere di cronaca, ma in caratteri minuscoli. Non se ne intenderà come un Sommelier professionista, come campioni del calibro di Luca Gardini, Roberto Anesi e Simone Loguercio, ma sa stare al mondo (del vino) con cognizione di causa. Gli hanno insegnato il bon ton enologico, il mestiere, la curiosità, il forte desiderio di capire e l’ottima frequentazione di enologi, vignaioli e agronomi.
Una volta la bottiglia del vino era un oggetto per me e il poco vino che bevevo era buono o cattivo o insignificante. Nella terra dove sono nato, il basso mantovano, terra di acque e, allora, di lambruscacci sono cresciuto col mito del vino del contadino che mio padre e mio suocero andavano a comperare in campagna. Senti che buono, mi dicevano. Faceva schifo. Mi procurava bruciori. Sono cresciuto prevenuto col vino. Fu un approccio poco felice. Poi, andando in giro e facendo il mestiere del curioso, mi sono accostato al fenomeno. Ho conosciuto uomini e donne, storie e storia, paesaggi, profumi, sapori. Prima ero un turista che si accontentava di ammirare i paesaggi, poi ho appreso storie personali di gente entusiasta che ha ereditato o sviluppato la passione di fare il vino e ho capito qual è il know-how, la tradizione, la scienza e la sapienza che stanno dietro a una bottiglia di vino. A questo punto il frutto dell’uva mi è diventato famigliare e ora lo apprezzo come il risultato di un processo che parte dalla terra e grazie all’uomo arriva in cantina e poi sulle tavole di casa o dei ristoranti.
Un processo che ha trasformato il turista Patrizio Roversi in enoturista?
Sì. Mi ha accomunato a un sacco di persone che si mettono in viaggio dubbiose restando folgorate sulla via del Barbaresco. Ho fatto come quelle donne che seguono i mariti, ma poi ci provano gusto e si appassionano, magari anche più di loro. L’enoturismo ha questa prerogativa: ti avvicina al mondo del vino e t’appassiona, ti coinvolge in tutti i sensi. Il vino ha tracciato il solco del nuovo turismo per tanti prodotti gastronomici di cui l’Italia è ricca. Iniziative di successo come Cantine Aperte, le Strade del vino, Calici sotto le stelle e così via hanno indicato la strada da seguire all’olio extravergine d’oliva, al Parmigiano Reggiano, a formaggi e salumi tipici. Sono nate nuove iniziative, organizzati eventi come Terre dell’Olio, Stalle aperte, Caseifici aperti, Cheese, open day legati al formaggio, corsi, master, accademie d’assaggio. Tutta la fantastica produzione gastronomica italiana, basata sulle varietà dei paesaggi, sulla storia del territorio, sulle vicende umane dei produttori, dipende molto dal turismo. E viceversa. La motivazione enogastronomica diventa sempre più potente. La gente, anche gli stranieri, visitano l’Italia per le sue bellezze, per l’arte, ma nel viaggio vogliono trovare anche le sue bontà. Il rapporto tra turismo vino e cibo è ormai indissolubile.
Girando l’Italia con Linea Verde, quali regioni, quali territori di vini ha trovato maggiormente preparati all’enoturismo, più pronti e vivaci a rispondere alla domanda?
C’è l’imbarazzo della scelta. Quelle che mi hanno immediatamente coinvolto sono Veneto, Piemonte e Toscana. In tutte e tre è obbligatorio partire dal vino. Se vai nel Chianti con i suoi paesaggi stupendi, anche se sei un turista vulgaris, non puoi ignorare il vino che qui, come nelle Langhe o nella Marca trevigiana o nel veronese, è l’anima del territorio. La cosa bella, che mi ha stimolato da morire, è che trovi sempre nuovi motivi, nuove eccitazioni per andare per cantine. Come ho detto, prima di Linea Verde bevevo pochissimo. Ricordo che una delle prime puntate la registrammo in Sicilia, in un’azienda che produceva vini biodinamici. Vi arrivai concentrato al massimo. Alla fine accettai di assaggiare i vini, mi lasciai un po’ andare. Temetti reazioni fisiche spaventose e invece no. Stetti benissimo. La Sicilia e il Friuli sono le regioni i cui vini mi sono piaciuti molto per la loro mineralità perché nascono in terreni secchi, con uno scheletro importante. Anche nelle Marche ho trovato vini stupendi. In questa regione vivono miei amici che hanno acquistato un podere e curano la vigna con passione. Costa più di quello che rende, ma a loro non importa. La Puglia è la saga del Primitivo che un tempo era un vino da taglio e ora è di qualità, strepitoso. In Campania, intorno al Vesuvio, ho trovato cultura e coltura eroiche. Ho visto vigne appese a pareti montane, sul mare. Un’epopea. Sono arrivato a regioni apparentemente senza fortuna enologica, la bassa Lombardia, l’Emilia, e che ti trovo? Vini di tutto rispetto, un Pignoletto di tutto riguardo, Lambruschi ottimi. Il paesaggio delle colline tra Bologna e Modena è cambiato. La vigna lo ha nobilitato. Non ha niente da invidiare alla Toscana.
Il Veneto?
È il punto di partenza. È la regione che ha inventato la viticoltura come risorsa del territorio, la regione del fenomeno Prosecco, discusso, ma importante. Il Prosecco e il Franciacorta tendono alla massima valorizzazione del territorio. Il Veneto è la regione del Vinitaly, altro fenomeno pazzesco, dalle dimensioni impressionanti. I primi anni ero stordito. Un casino. Poi il prezzo d’ingresso ha fatto la selezione. Ma forse ero cambiato anch’io, ero diventato più curioso. Non dico che me ne intendevo di più. È che me lo gustavo di più. Del Veneto mi piace tanto la tradizione di cantine e osterie.
Enoturismo, territorio e Sommelier. Il governatore Zaia affida a questa figura il ruolo di mediatore, meglio, di ambasciatore tra vino e territorio. È d’accordo?
Ho incontrato Zaia. Tiene molto all’agricoltura come attività interdisciplinare. Ricordo che gli proposi un programma che prevedeva un giro per l’Italia in trattore. L’idea gli piacque. L’agricoltura è importante in tutto: per il turismo, per migliorare il territorio, per la vita e la storia degli uomini. Il vino in particolare è l’ultimo anello della cantina e l’ultimo atto a tavola. L’ultima tappa di un giro turistico che racconta cantine, clima, un servizio per raccontare alla gente. A questo riguardo il Sommelier ricopre un ruolo importante. Ha in mano la chiave giusta, si tratta di imparare ad usarla e a farla girare in un certo modo. Il Sommelier dev’essere preparato per raccontare il vino e la terra dove nasce, la storia e la gente, l’arte e la cultura che sono lì nella bottiglia, col vino. Deve uscire dai confini, il vino non è solo tecnica, che, comunque, è importante. Secondo me è da evitare la scena in cui arriva il sacerdote del rito enologico che officia messa e ti racconta in punta di sapienza. Il racconto dev’essere globale.
Insomma un Sommelier ambasciatore
Sì. Un tempo pensavo che i Sommelier e chi ne sa di vino se la cantassero e se la tirassero con i loro discorsi tecnici. Estraevano dal bicchiere i profumi e i sapori più improbabili. Ma dai, mi dicevo. Poi sono stato invitato a un seminario Veronelli e mi si è aperto un mondo. Mi hanno fatto assaggiare vini incredibili e ho capito che l’enologo è un artista. Che faceva Michelangelo? Andava a Carrara, si sceglieva il blocco di marmo giusto, se lo faceva mandare a Roma, preparava il modello e scolpiva la Pietà. Il processo attraverso il quale un enologo produce il vino è uguale, artistico: scelta del terreno, materia prima la vigna, uve coltivate in certi modi, il clima, il tempo e in cantina le considerazioni metodologiche: legno, acciaio o cemento? S’innesca un processo di creazione e il risultato è arte. Ho bevuto vini di un’eccellenza assoluta. Da restare a bocca moralmente aperta anche se è chiusa. Veronelli mi ha insegnato che il vino è una miniera di tesori: ricordi, emozioni, profumi, sostanze precise che vengono dalla vigna e dalla lavorazione. Tutto vero. Per me è stata una scoperta. Chi sa di vino deve comunicare tutto questo, con passione, con semplicità. E così è per l’olio e per il riso. Informazione e comunicazione sono fondamentali.
Quale vino “enoturistico” mette in tavola?
Diversi vini, secondo i miei gusti che sono frutto d’ignoranza (e dagliela con la modestia): vini bianchi secchi, minerali. In un ristorante di Vercelli il ristoratore, una persona carina, mi ha proposto: “Le faccio assaggiare un vino bianco della Val d’Aosta”. Mah, mi son detto nelle mie limitate conoscenze, cosa può produrre di buono la Val d’Aosta. Era squisito. Posso aggiungere che non mi piacciono i rossi troppo tannici: mi foderano la bocca di velluto.
Cosa ci sta preparando di bello il turista per caso?
Racconto il riso in realtà virtuale, da quando viene piantato a quando viene raccolto. Produco filmati in VR per l’Ente Risi: ti metti l’occhialone della realtà virtuale e ti trovi dentro la risaia con il sottoscritto che racconta. È una realtà immersiva. Dalla risaia si passa alla tavola. Racconto le varietà di riso- quante ce ne sono! - mentre i cuochi le cucinano. Chiunque dovrebbe avere in casa tre varietà di riso, due di olio e tante bottiglie di vino per variare gli abbinamenti. L’obiettivo è sempre lo stesso: raccontare, comunicare, vivere esperienze turistiche con il bello e il buono.
Articolo tratto dal numero 2 del 2019 di Vinetia Magazine (allora Sommelier Veneto)