Redazione
Il mondo del vino si troverà ad affrontare un trentennio di cambiamenti. I primi segnali sono già tra noi, basta saperli leggere
Le forze del cambiamento climatico, della digitalizzazione e della globalizzazione stanno lasciando il segno nell’antica industria del vino, sempre più guidata dal commercio elettronico e dall’intelligenza artificiale. Se aggiungiamo una folla di pionieri che offuscano gli stili di vino tradizionali, il futuro si prospetta con degli scenari stimolanti, fatti di bivi significativi, divergenze e prese di coscienza. Dovremo imparare un nuovo lessico e nuovi modi di concepire il vino, e allo stesso tempo cercare di conservare le usanze del passato e ciò che di buono ci hanno regalato negli anni le varietà ancestrali. Il direttore generale di CAVIT, Enrico Zanoni, in una recente intervista ha dichiarato che è finalmente finito il “trentennio del metanolo per il vino italiano”. Qualunque cosa voglia dire, questo ci da l’idea di quanto sia epocale il cambiamento di concetto, consumi, produzioni nel mondo del vino italiano. Ma all’estero cosa succederà?
Distribuzione e genesi
A livello mondiale sempre di più assistiamo al consolidamento di aziende grandi che acquisiscono quelle piccolo, ma anche il fenomeno opposto, ossia piccole aziende che si uniscono per aumentare la loro competitività. Fuori dell’Italia, ancora ligia alle sue denominazioni e ai suoi disciplinari, sempre di più la proprietà dei vigneti si discosta dalla produzione del vino. I prodotti del futuro saranno pensati e disegnati prima di essere prodotti, non viceversa. La distribuzione influenzerà ogni decisione. Non a caso si parla di reverse engineering e di neo-négociant. Un négociant è essenzialmente un produttore di vino che non coltiva uva, ma la acquista da vari coltivatori esperti, molti dei quali sono famiglie che coltivano i vigneti da generazioni. Un neo-négociant, tuttavia, è un maestro di entrambi i campi: un coltivatore diventato négociant, che può scegliere tra un'ampia selezione di terroir. Aspettatevi di vedere l'etichetta "RM" (Récoltant Manipulant) e le sue iterazioni internazionali con maggiore frequenza.
Sapere è potere
La legislazione europea riguardante l'etichettatura sarà portatrice di una maggiore attenzione agli ingredienti e di una corrispondente richiesta di intervento minimo? Il contraccolpo dell’intelligenza artificiale, i nostri miseri guinzagli elettronici corti e la velocità del nostro mondo creerà un’aumentata richiesta di artigianalità? Solo il tempo lo dirà.
IWSR, il punto di riferimento globale per i dati e le analisi sul mondo dei “drinks” rileva che il 48% di bevitori di alcolici statunitensi considera la sostenibilità o le iniziative ambientali di un’azienda prima di acquistare un vino. Il 73% della Gen Z afferma di essere disposto a spendere di più per un prodotto sostenibile.
In ogni modo pare evidente che il consumatore consapevole non accetterà (o sempre meno) zuccheri e ingredienti non naturali. La gestione delle risorse idriche e del carbon footprint sarà condizione sine qua non. Non saranno accettate o accettabili pratiche non sostenibili per la produzione, pertanto nel NO alcohol dovranno essere sviluppati altri sistemi rispetto a quelli attualmente in uso, dispendiossissimi in termini di acqua utilizzata nel processo. Il LOW alcohol invece sarà naturalmente prodotto grazie a selezione varietale/clonale abbinata a pratiche di vigneto e di cantina, nonché a strategie spaziali, come il trasferimento dei vigneti ad altitudini più elevate.
La sfida: clima versus gusto
Abbiamo letto tutti le previsioni apocalittiche dove in Toscana e a Bordeaux si potranno coltivare solo kiwi, la Germania diventerà terra di vini rossi caldi e si brinderà a spumante scozzese. Il programma decennale di ricerca LACCAVE, in Francia, conferma la crescente vulnerabilità alle gelate, l’anticipo della vendemmia, l’aumento dello stress idrico e la crescente pressione di malattie fungine. Tutto questo è dovuto al cambiamento climatico. Alcuni studi indicano che l’85% delle varietà che conosciamo – compreso il caro Merlot – non resisteranno ad un aumento di temperatura di 4°C. Il cambiamento climatico ci porta verso un concetto di divergenza tra quello che il clima impone alla viticoltura e quello che il consumatore sarà pronto ad accettare (a livello valoriale, di concetto, di brand) e ad amare (a livello sensoriale).
Ad esempio i produttori di legni (sia di botti che di legni alternativi) hanno sempre cercato di evitare una molecola, quella del cislattone, responsabile di un gusto abbastanza sfacciato (o banale) di legno nei vini. Ma oggi diversi studi dimostrano che il carattere vanigliato che il cislattone porta nel calice è una sorta di gusto globale, amato dall’Asia agli Stati Uniti pressoché incondizionatamente.
La risposta: rusticità, resilienze e biodiversità
Il meticcio ci salverà, dice il prof. Attilio Scienza. I viticoltori saranno costretti ad imparare l’arte dell’adattamento piuttosto che quella della mitigazione. Anche a Chateau Lafite, Saskia De Rothschild pianterà altre colture e alberi tra i vigneti più famosi e reputati del mondo. A casa nostra abbiamo l’esempio di “Bosco Vigna”, il progetto-manifesto di Fontanafredda per la biodiversità dei vigneti. Si parlerà di agricoltura rigenerativa e non solo: saranno le nuove varietà di uva e vari ibridi a giocare un ruolo da protagonisti grazie alla loro capacità di resilienza alle nuove condizioni climatiche.
Sumoll è una varietà catalana pressoché estinta ma particolarmente resistente alla siccità. L'Organizzazione Australiana per la ricerca scientifica e industriale del Commonwealth ha sperimentato l'incrocio con il cabernet sauvignon per sfruttare questa caratteristica: rubienne, cienna, tyrian e vermillion sono tutti ibridi derivati da sumoll. Il vitigno felicia, allevato presso l'Istituto Julius Kühn in Germania è resistente all'oidio, alla peronospora e al marciume nero. Dall’Università di Arkansaw invece nasce indulgence, vitigno a bacca bianca dall'aroma di noce moscata da un incrocio tra seyval e muscat ottonel. Lo scopo del programma di selezione era quello di sviluppare nuovi vitigni che abbiano un potenziale di alta qualità in una regione con inverni freddi ed estati calde e umide.
A volte invece le caratteristiche richieste del mercato esistono già in natura. Il koshu è un vitigno a bacca rosa tradizionale del Giappone. La sua principale zona di coltivazione è l’area di Yamanashi, sulle pendici del Monte Fuji. Discende dalla Vitis vinifera europea ma sembra essere giunto in Asia tramite la Via della Seta oltre 1.000 anni fa. Il koshu è dotato da bucce molto spesse e piuttosto amare che proteggono il frutto dalle frequenti piogge primaverili. Il mosto ha un’elevata acidità naturale ma un contenuto zuccherino molto basso, tale da non portare i suoi vini ad un tenore alcolico naturale superiore al 10% vol.
Anche il vino è uno spectrum
Come la sessualità, la salute mentale o il genere, il vino si sta lasciando alle spalle le categorie definite e entra nel paradigma di uno spectrum. Consideriamo i “big” Chardonnay di Nuova Zelanda o i nuovi bianchi di Rioja. Troviamo già vini che uniscono i sapori di un rosso al corpo leggero di un bianco e a un colore nemmeno rosato. Con quali uve si faranno questi vini “ibridi”? Con quelle classiche da vino rosso chiaro, come il pinot nero, il gamay o il dolcetto.
Nel mondo di vino ci aspettiamo un futuro divergente. Già si intuisce il suo sapore all'estero e presto sarà così anche da noi. Ci troviamo tra consumatori sempre più preparati e attenti, altri pronti a sposare brand e valori intangibili per godersi un vino sempre più bevanda e sempre meno territorio. La sineddoche di questo aspetto del vino è la co-fermentazione, pratica in ascesa a livello mondiale – un esempio della fine che stanno facendo le regole inossidabili degli ultimi decenni – ma che in fin dei conti è una sorta di ritorno al passato: basta pensare a quello che facevano i nostri nonni. In ogni caso il mondo del vino si trova a fronteggiare un nuovo trentennio. Ne riparleremo nel 2055.
Gabriele Gorelli MW