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giovedì 1 febbraio 2024

Il Veneto biodiverso

C'è molto interesse anche in Veneto per le vecchie varietà ormai scomparse

Maria Grazia Melegari


Il patrimonio viticolo italiano non ha eguali al mondo. Nel 2020 erano ben 589 le varietà registrate ufficialmente, una quantità notevolmente ridotta rispetto a quella descritta in passato dagli ampelografi. Anche per la vite, come per altre colture agricole, il progressivo incremento della selezione su una base genetica ristretta ha favorito il depauperamento delle risorse genetiche di molte specie destinate alla produzione.

“La crisi della biodiversità delle specie vegetali in genere – afferma il Prof. Attilio Scienza – è stata definita la sesta estinzione e rappresenta solo un aspetto della tendenza alla semplificazione delle diverse manifestazioni della vita”. Conservare la biodiversità viticola non significa soltanto salvaguardare il valore della vite coltivata che è il risultato di una selezione e di una storia millenaria e che una volta distrutto non può essere ricostruito, ma assume anche un’importante valenza culturale, visto il profondo legame che lega il vino alla storia e alle tradizioni locali.

La ricerca e la conservazione di vitigni antichi o minori, che in molti casi sono a rischio di scomparsa, va oltre la semplice curiosità ampelografica e può rivestire un ruolo importante per arricchire la produzione di vini originali che abbiano la qualità e la tipicità necessarie per affermarsi sui mercati. Inoltre, in un contesto che indica nel cambiamento climatico la sfida per il futuro della viticoltura, alcune vecchie varietà possono essere una carta da giocare per la loro capacità di resilienza che le rende adatte alla coltivazione in altitudine.

 

Il caso Veneto

Il numero delle varietà di vite coltivate in Veneto tra l’800 e il ‘900 era assai ampio e alcuni vitigni come la garganega, la corvina, la vespaiola, la glera, il raboso, sono ancora oggi alla base di importanti denominazioni. Dalla metà dell’Ottocento, la comparsa di patogeni come fillossera, peronospora e oidio ha eroso notevolmente il patrimonio varietale, favorendo successivamente anche l’affermazione delle varietà internazionali. In epoca più recente è comparsa anche la flavescenza dorata, malattia che ha accelerato la perdita di biotipi locali, favorita dal divieto di propagare materiale genetico.

Già negli anni Settanta il CREA Centro di Ricerca per la Viticoltura di Conegliano ha iniziato un lavoro d’identificazione e conservazione di vecchie varietà presenti sul territorio regionale, collaborando poi dal 1998 con l’ente regionale Veneto Agricoltura nel loro recupero. Sono così stati iscritti nel registro nazionale vitigni come l’oseleta, la dindarella, la recantina, la bianchetta trevigiana, la perera, la pedevenda. A Verona ha svolto un compito analogo il Centro sperimentale della Provincia a San Floriano, che però ha chiuso l’attività qualche anno fa.

Agli inizi del 2020, gli enologi veronesi Aldo Lorenzoni, già direttore del Consorzio di tutela del Soave, Luigino Bertolazzi, past president della Sezione Assoenologi Veneto occidentale, e Giuseppe Carcereri de Prati, consulente e ricercatore, hanno dato vita all’Associazione G.R.A.S.P.O.(Gruppo di Ricerca Ampelografica Sostenibile per la Preservazione della biodiversità viticola), iniziando un minuzioso lavoro di ricerca sul campo e di microvinificazioni con lo scopo di verificare le peculiarità di vitigni considerati perduti e il loro potenziale di impiego, sia in purezza che come supporto a vitigni storici. Durante la vendemmia 2022 sono state raccolte e vinificate circa cinquanta varietà.

 

Verona

Nel territorio della Lessinia, nell’area di confine tra le province di Verona e Vicenza, dove è di casa la durella, la tradizione popolare narra della coltivazione da tempo immemore dell’uva saccola, varietà che era spesso maritata a olmi e aceri campestri e veniva raccolta tardi, a novembre. Il raro vitigno di montagna è risultato essere corrispondente alla pavana nera, diffusa un tempo in molte zone del Veneto e ora presente soltanto in un’area ristretta del Trentino orientale e del Bellunese. Il vino presenta un colore rosso chiaro, un’elevata acidità e un profilo fruttato che ricorda l’amarena, il mirtillo e la mora. Il Consorzio di Tutela del Durello ha ottenuto l’autorizzazione regionale all’impianto della pavana in un territorio ristretto della DOC Monti Lessini, come vitigno in osservazione per le province di Verona e Vicenza, e l’inserimento della saccola come sinonimo della pavana nera nel registro nazionale. Le caratteristiche della varietà fanno ben sperare per il futuro, anche come risorsa per la spumantizzazione.

È sicuramente una sorpresa il ritrovamento nello stesso areale della Lessinia della varietà gouais blanc detta anche liseiret, ritenuta geneticamente fondante della viticoltura europea, in quanto genitore di oltre cento vitigni, di cui un’ottantina attualmente coltivati. Nel veronese sono oggetto di studio varietà ancora non riconosciute come la pontedara in Lessinia, la rossa burgan e la brepon o molinara bianca nella zona del Soave e le già note cabrusina o negrina e la marcobona nell’areale della Valpolicella e del Garda.

 

Padova

Nel territorio padovano, ai primi del ‘900, le varietà locali erano molte di più rispetto alle attuali. Il perito agrario Giuseppe Tocchetti in una pubblicazione del 1978 cita verdise, marzemina bianca, vernanzola, dorona, rossetta o schiavetta, negrara, moscato nero, turchetta, corbina. Nel montagnanese è oggetto di studio la vernanzola, varietà a bacca bianca geneticamente riconducibile alla bianchetta trevigiana. Merita sicuramente una visita la storica piantata nel centro di Urbana, una vigna centenaria a piede franco, custodita da Gianmarco Guarise che ne vinifica le uve seguendo i cicli lunari. Se ne ricava un vino fresco e immediato, dalle piacevoli note fruttate e amandorlate, sia in versione ferma che con rifermentazione in bottiglia o autoclave. Come bianchetta trevigiana è presente a Treviso, a Feltre (bianca gentile di Fonzaso o pavana bianca), a Vicenza (vernanzina) e in Trentino (vernaccia trentina).

La dorona, da qualche tempo al centro del progetto Venissa a Mazzorbo, oltre che nella laguna di Venezia è presente anche nell’areale dei Colli Euganei. È un vero e proprio “vitigno reliquia” come testimonia la pianta ultracentenaria presso la storica Osteria al Guerriero di Arquà Petrarca.

Anche varietà a bacca nera come la turchetta e la corbina sono allo studio presso il Consorzio Colli Euganei e nella DOC Bagnoli.

 

Vicenza

Tra gli anni 70 e 80, nella tenuta dell’azienda Piovene Porto Godi a Toara sono state reperite numerose varietà storiche presenti nei Colli Berici, che sono state poi studiate in campi catalogo dell’Istituto di ricerca di Conegliano. Tra queste merita attenzione la d’oro (o uva d’oro), cultivar a bacca bianca spesso confusa con la garganega e la dorona, che invece presenta un’identità peculiare. Probabilmente corrisponde alla dall’oro bianca, citata già alla metà del Settecento. Il vino ha uno spettro olfattivo ampio: mela cotogna, nespola, erba luigia e un buon equilibrio gustativo. Anche la leonicena, varietà vigorosa a bacca bianca nota anche come obi o molinelli, rispettivamente in Piemonte e nel Piacentino, si è rivelata di grande interesse per la sua tolleranza alla botrite, la resistenza al freddo e alla flavescenza dorata.

Molti autori descrivono la cenerente come una varietà coltivata da tempi remoti a sud della provincia di Vicenza oltre che nelle vicine province di Treviso e Verona e nota con diversi sinonimi. Iscritta nel Registro europeo, ma non ancora in quello nazionale, probabilmente deve il nome all’abbondante pruina che ricopre gli acini come la cenere. Se ne ricava un vino rosso rubino carico, dai profumi di frutti di bosco, tabacco, spezie dolci, e dalla buona componente tannica. Ha un genitore sicuro, la gambugliana, altro vitigno presente sui Colli Berici e dalla storia intricata, che recenti indagini legano alla visparola, proveniente forse dalla Grecia. Altre varietà a bacca nera ritrovate sono l’uva gatta, la piccola nera, la pomella.

 

Treviso

In provincia di Treviso notevole è la piantata storica di Baver, tutelata dalle Soprintendenze per i beni storici ed artistici delle provincie di Venezia, Belluno, Padova e Treviso come bene culturale di natura etnoantropologica. Augusto e Marco Fabris custodiscono le vecchie vigne di bianchetta trevigiana, corbina, marzemina bianca, pignolo, turchetta, e verdiso, maritate ad aceri, olmi e gelsi.

 

Articolo originariamente apparso sul numero 2/2022 di Vinetia Magazine.

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