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Dalla redazione
martedì 9 gennaio 2024

Gli orange wine, un fenomeno globale

Dalla Georgia all’Italia e ritorno. Il viaggio e la riscoperta di questa tipologia di vini, destinata a rimanere


Simon J Woolf

 

Il viticoltore del Collio e pioniere Joško Gravner è sorpreso come chiunque altro che la categoria di vini che ha contribuito a salvare dalla quasi estinzione sia oggi così popolare in tutto il mondo. "All'inizio erano tutti contrari", racconta. Quando Gravner e il suo collega e vicino di casa, il compianto Stanko Radikon, a metà degli anni '90, sperimentarono per la prima volta le lunghe macerazioni sulle bucce per le loro uve bianche, nessuno dei due poteva sapere quanto sarebbe diventato influente il loro lavoro.

Gli orange wine, come vengono chiamati oggi, sono stati una vittima dell'era del vino industriale. Un tempo quello della fermentazione sulle bucce era un metodo di lavorazione dell'uva bianca molto popolare in tutta l'Europa centrale e meridionale, quasi lo standard, ma è passato di moda negli anni Sessanta. Con l'avvento di tecnologie quali i lieviti selezionati, i serbatoi in acciaio inox a temperatura controllata e le presse soffici, è infatti nato lo stile moderno del vino bianco: pulito, pallido di colore e con aromi e sapori di frutta fresca.

Uno stile che può essere stato una novità nell'Italia degli anni Sessanta, ma ha portato rapidamente all'omogeneizzazione dei vini bianchi. Negli anni '80, Gravner e Radikon erano diventati entrambi famosi produttori di vino, utilizzando tutta la tecnologia disponibile e facendo abbondantemente uso di barrique di rovere francese. I loro vini erano popolari e molto apprezzati, ma nessuno dei due produttori era completamente soddisfatto. Mancava l'autenticità.

La chiave era ritornare a tradizioni molto più antiche, e in Collio ciò significava prendere la ribolla gialla, il loto vitigno autoctono, e farla fermentare con le bucce (proprio come avevano fatto i nonni di Gravner e Radikon), per esaltare la sua regale complessità e la sua prodigiosa struttura. Questo vitigno ha avuto il ruolo fondamentale di essere stato la vera chiave per la riscoperta degli orange wine nel Collio e nel suo territorio gemello, il Goriška Brda sloveno.

Un inizio difficile

Molti clienti e critici del vino sono rimasti sconcertati dai vini che Radikon e Gravner hanno iniziato a lanciare all'inizio degli anni 2000. Quei liquidi dal colore ambrato scuro, con uno strano odore e l'aspetto torbido avevano qualcosa che non andava? Molte bottiglie e casse di quei primi vini sono state rispedite alle cantine. Il torchio ha riversato il disprezzo sui viticoltori che sicuramente avevano perso i loro sensi.

È difficile oggi immaginare quanto sia stata negativa quella reazione, visto che entrambi i produttori sono diventati un'icona nel mondo del vino naturale e degli orange wine. Nessuno dei due si sforza più di vendere la propria produzione, infatti la sfida, a distanza di 20 anni, è quella di tenere il passo con le richieste dei mercati vinicoli in espansione come il Giappone, la Corea o la Scandinavia - tutte roccaforti per questi stili di vino.

Gravner era anche affascinato da un altro aspetto, oltre alla fermentazione delle bucce: era infatti ansioso di esplorare il metodo di produzione del vino di migliaia di anni fa nel Caucaso. La Georgia, in particolare, è ampiamente acclamata come la culla del vino, poiché ha la più lunga tradizione ininterrotta di vinificazione, che risale ad almeno 6.000 anni fa. Quando Gravner si è recato per la prima volta in visita nel 2000, la vinificazione tradizionale con l'anfora georgiana (qvevri) era ormai scoparsa: i vini ambrati non erano ciò che l'URSS desiderava per la sua popolazione assetata. Eppure Gravner riuscì a rintracciare una cantina che produceva ancora i tradizionali vini ambrati, con le uve bianche lasciate a macerare con bucce e raspi nei qvevri per un massimo di sei mesi.

Si convertì all'istante alla perfezione dei qvevri per la fermentazione, e passò gli anni successivi ad acquistare lentamente abbastanza recipienti per far fermentare tutta la sua produzione in questo "grembo per il vino". Altri viticoltori italiani erano alle sue calcagna: Giusto Occhipinti (COS), Paolo Vodopivec e Frank Cornelissen (belga, ma con base in Sicilia) hanno tutti visitato la Georgia nei primi anni 2000 e sono passati anche loro all'uso delle anfore (anche se Cornelissen è poi passato di nuovo ai serbatoi in vetroresina).

Gli orange wine tornano a casa

La Georgia stessa si è risvegliata grazie al sorprendente interesse internazionale per il suo passato vinicolo. Lentamente, a metà degli anni 2000, i viticoltori artigianali georgiani hanno iniziato ad emergere sulla scena. Tra i pionieri si annoverano Ramaz Nikoladze (a ovest di Imereti), Iago Bitarisvili (regione di Kartli) e Giorgi Dakishvili (a Kakehti). Anche il pittore americano John Wurdeman ha svolto un ruolo chiave come catalizzatore e nel fare pubblicità al nuovo corso. Trasferitosi in Georgia negli anni Novanta, è stato spinto a creare una cantina (Pheasant's Tears) dall'enologa in difficoltà Gela Patalishvili.

Il ritorno alla vinificazione tradizionale (dove l'attenzione è sempre stata più rivolta alle uve bianche che a quelle rosse) è stata sorprendente in Georgia. Nel 2009 c'erano forse cinque viticoltori artigianali che producevano vini nei qvevri, oggi sono quasi 200. Anche grandi aziende vinicole come Telavi Wine Cellar (alias vini Marani) o Khareba hanno aggiunto alla loro produzione linee di vini d'alta gamma realizzanti nei qvevri. Si stima che attualmente si producano circa 2 milioni di bottiglie all'anno di vino con il metodo tradizionale.

La rinascita contemporanea dei vini bianchi macerati nel Collio e dei tradizionali vini ambrati in Georgia ha ispirato un'intera nuova generazione di viticoltori. In Europa le generazioni precedenti avevano spesso prodotto orange wine per autoconsumo; la fermentazione dell'uva con le bucce è la soluzione più semplice e "non tecnologica" in termini di vinificazione, anche se pochi, se non nessuno, avevano mai considerato che si trattasse di uno stile adatto all'imbottigliamento o alla vendita come fine wine. Questo è stato il più grande regalo di Gravner e Radikon al mondo: l'ostinazione sul fatto che i vini bianchi macerati potevano essere qualcosa di più di un semplice vino da tavola.

La diffusione in Europa

La macerazione delle uve bianche è diventata sempre più popolare, diffondendosi dall'epicentro del Collio in tutta Italia e in Slovenia. La tecnica ha ispirato anche i viticoltori di ogni angolo del mondo. Le classiche regioni vinicole del Nord Europa, Francia e Germania ci hanno messo più tempo ad abbracciare l'idea del vino bianco fermentato con le bucce, ma oggi sono molti i produttori di entrambi i paesi che producono vini eccezionali. In Francia l'Alsazia è molto attiva su questo fronte, con produttori come Laurent Bannwarth, Le Vignoble du Reveur (Mathieu Deiss) e Philippe Brand che utilizzano la macerazione come tecnica chiave. L'enologo di culto borgognone Yan Durieux ha dimostrato che la macerazione di Aligote può essere una cosa molto bella. Molti produttori della Languedoc e più a sud, come Matassa, Mas Zenitude, Le Soula e Philippe Viret, producono grandi orange wine.

La Germania è stata la più lenta in Europa ad abbracciare questo tipo di vinificazione, ma produttori come Schmitt (Rheinessen), Vincent Eymann e Andi Weigand producono ottimi orange wine. La Spagna ha una lunga tradizione di vinificazione in piccole anfore (conosciute come tinajas), e questo ha preannunciato un ritorno a molti stili di fermentazione sulle bucce. La Catalogna ha una tradizione ancestrale nell'uso del contatto prolungato sulle bucce, con i vini conosciuti come brisat in lingua catalana. In Portogallo, l'antica tradizione di 2000 anni di produzione di vini in talas (anfore portoghesi) sta godendo di una rinascita nella sua regione natale, l'Alentejo. Molte piccole cantine hanno ancora recipienti vecchi di 200 anni che rimangono ancora in uso. Qui, come in Georgia, l'uva bianca e quindi i vini di colore arancio/ambra sono sempre stati il pilastro portante.

La creatività del nuovo mondo

Anche i viticoltori del nuovo mondo hanno adottato con grande entusiasmo questa tecnica. In genere, c'è molto meno bagaglio quando si tratta di "tradizione" nella vinificazione o nelle regioni, il che ha fatto sì che i viticoltori di paesi come l'Australia, la Nuova Zelanda e il Sudafrica utilizzassero in modo creativo la tecnica in molti modi nuovi. Craven Wines a Stellenbosch produce una deliziosa Clairette Blance con una miscela di 60% di mosto fermentato sulle bucce e il 40% da vinificazione in bianco.

Momento Mori, con sede a Gipsland Victoria, ha dimostrato che una lunga fermentazione sulle bucce (cinque mesi nel caso di "Staring at the Sun") può anche dar vita a vini molto delicati e dal gusto fresco quando l'estrazione è ridotta al minimo e l'ossigeno è in gran parte escluso dal processo di vinificazione. Theo Coles (The Hermit Ram) con sede a Canterbury, in Nuova Zelanda, utilizza la fermentazione sulle bucce per tutte le sue uve bianche - "Si tratta fondamentalmente di vini pre-tecnologici", spiega. Coles, come molti altri, si è ispirato a questa tecnica dopo lunghi viaggi in Europa, e in particolare in Italia.

La California, di gran lunga la più importante regione vitivinicola degli Stati Uniti, vanta oggi un gran numero di nuove cantine artigianali che lavorano con interventi minimi - e il più delle volte producono uno o più orange wine. Tra gli altri spiccano Donkey & Goat, Ambyth, Dirty and Rowdy e Scholium. Gli orange wines sono comunque prodotti in quasi tutti gli stati, da cantine quali Channing Daughters nella zona dei Finger Lakes e Deidre Heekin (La Garagista) nel Vermont.

Gli orange wine sono attualmente prodotti commercialmente in almeno 35 paesi diversi, tra cui Thailandia, Giappone, Cile e Gran Bretagna. Con tutti questi vini prodotti, che si possono trovare sia nella lista dei ristoranti stellati Michelin, sia nei wine bar naturali di tendenza, non c'è dubbio che gli orange wine sono qui per rimanere. Se c'è una domanda, è questa: come ha potuto il mondo diventare così selettivamente daltonico, per mezzo secolo, prima che Gravner e Radikon rimettessero l'arancione e l'ambra nel bicchiere?

 

Articolo di Simon J Woolf tradotto su Vinetia Magazine 01/20

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