Gruppo redazione Ais Treviso
“Un grande bianco che il mondo deve ancora conoscere”. Che si parli di Timorasso o di Manzoni Bianco, di Piemonte oppure di Veneto, la frase può funzionare ugualmente.
A confronto ma non in competizione, i due vini (e vitigni rispettivi), lo sono stati, il 16 novembre, nella serata di Ais Treviso che ha accolto all’hotel Maggior Consiglio il padre-pioniere del Timorasso, Walter Massa, insieme a Luciano Rappo, direttore commerciale della cantina di Tortona, contornati da molti produttori trevigiani di quello che è stato “il capolavoro”, dice l’enologo Enzo Michielet, del professor Luigi Manzoni: riesling renano e pinot bianco diventati tutt’uno, nel vitigno “incrocio manzoni 6.0.13”, grazie all’ibridazione.
Sensazioni? Che di strada ce ne sia ancora, e molta, da percorrere, per far viaggiare questi due vini, che in comune hanno ben più di qualcosa e che possono farsi largamente scoprire. Come?
La provocazione la lancia proprio Walter Massa, zero peli sulla lingua e parole in libertà, ma consapevoli e puntali, nella volontà di agganciare e identificare un vino con il nome del territorio dove nasce, perché se “il timorasso è un’uva pazzescamente difficile, che non garantisce la quantità”, è certo che “sono gli uomini che fanno la differenza. L’uva è mobile e per difendere un vino ci vuole un territorio. Per questo ho registrato per il Timorasso il marchio ‘Derthona’ - l’antico nome di Tortona, oltre vent’anni fa. Ora ho chiesto la sottozona nella DOC Colli Tortonesi”, dice Massa, che plaude a quel “Prosecco” ben protetto da un legame sancito con la sua zona di origine. E lancia l’invito a ragionare proprio sul Manzoni Bianco.
In Piemonte, ora, suona la carica delle 101 aziende produttrici di Timorasso, cresciute dalle 35 che erano nel 2015. E in campo, sempre più, stanno scendendo anche i barolisti, i produttori delle Langhe.
Un vino difficile, si diceva, “pochissimi esteri e terpeni, solo tioli, che danno sentori più floreali che di frutta. E poi grande muscolatura e grandi spalle”, spiega Luciano Rappo, per quello che potrebbe essere il “Barolo bianco”.
Difficoltà che ritorna anche nel Manzoni Bianco. “Poco produttivo”, quell’incrocio 6.0.13, spiega Michielet. E infatti “il carro non si riempiva mai”, è il ricordo di Bonotto delle Tezze, che l’incrocio manzoni lo ha piantato nel 1986. Sfilano ricordi simili per i produttori trevigiani delle cantine Collalto, Gregoletto e Cirotto. Per tutti, decenni di esperienza dedicati a quel vino e a quella vite, che può star bene in collina ma anche in pianura, adattandosi a climi diversi, esprimendo finezza, equilibrio e molta eleganza. Ben pochi però, ancora, gli ettari dedicati alla creatura del professor Manzoni, rispetto “all’imperatore” Prosecco.
Resta, allora, ancora una scommessa, portare ancora più in alto il nome del Manzoni Bianco e del Timorasso. Due rossi “travestiti” da bianco.
Note di degustazione:
Fulgido giallo paglierino. Al naso arrivano frutta matura, tropicale, erbe aromatiche, anice e note balsamiche. Buona la struttura, grazie a leggera macerazione. Elegante, con un’acidità non marcata data dall’impronta di un’annata calda.
Note dolci ed eteree di smalto e confetto. Sorprende la morbidezza, cui fa eco una bella sapidità. Il tracciato gustativo rimane piuttosto snello e la lunghezza del sorso si svolge su note citrine.
Risalta agli occhi l’intensità cromatica. Al naso note di miele, zucchero filato e floreali. La struttura è da rosso, coadiuvata da netta acidità, sostenuta da morbidezza e alcolicità. Sorprende la cremosità nel finale di bocca.
Riflessi dorati attraversano il calice. Profuma di mela cotogna e noce bianco, qua e là note di purea di prugna gialla. Il sorso è caldo, denota buon corpo con freschezza a supporto dell’ampiezza gustativa. Persistente.
Giallo paglierino piuttosto vivace. Nel calice sono avvertibili le sensazioni di pesca, sambuco e spezie. L’azienda cerca freschezza e verticalità con una vendemmia quasi anticipata. Bell’equilibrio e piacevolezza.
Il colore è di paglia al sole, Quadro olfattivo con pennellate di marmellata di cedro, sedano, crema al limone e fumè. Spiccano il sorso largo e piacevole con pulizia al palato. Morbidezza e sapidità danno sprint per l’allungo finale.
Colore dell’oro, brilla di luce. Esordisce all’olfatto con susina matura e pera, poi ananas e selce. Nel cavo palatale è pieno, dritto ed equilibrato. Bella l’alternanza di morbidezze e freschezze. Persistenza che ammalia.
Dorato in cui si snodano giochi di luce, si muove consistente. Lo spettro di profumi è articolato: susina gialla matura, gardenia, banana e ananas, fanno eco il sasso bagnato e note quasi butirriche. Il corpo scivola in un equilibrio che si fa dimenticare solo per la grande persistenza.