Redazione
Bernardo Conticelli
In Francia su circa duecento vitigni autorizzati per la produzione di vino, meno di una decina coprono oltre due terzi della superficie impiantata a vigna. Se guardiamo con una lente di ingrandimento questo dato, già di per sé piuttosto significativo, scopriamo che bastano soltanto tre vitigni per coprire un terzo della superficie vitata francese, ovvero il merlot, primo con il 14% di presenza sul vigneto totale, diffuso principalmente nella zona di Bordeaux, ma più in generale in larga parte delle regioni vitivinicole francesi, la grenache noir, seconda con l'11% di diffusione e presente principalmente in Rodano e Languedoc e l'ugni blanc, terza con il 10,2% di diffusione e prima tra le uve bianche, presente principalmente nel sud-ovest del paese e cruciale per la produzione di Cognac e Armagnac.
Se a questi tre vitigni aggiungiamo anche syrah, cabernet sauvignon, carignan, pinot noir, chardonnay e sauvignon blanc, ecco che oltre il 67% del totale della superficie vitata francese è identificato.
Bisogna però considerare che anche in Francia, così come ormai in molti altri paesi consumatori maturi di vino, si rintraccia un sempre maggior interesse da parte di operatori del settore – Sommelier e ristoratori in primis – e consumatori per la scoperta di zone vitivinicole minori e di vitigni dimenticati, rari o in via di di sparizione.
È in questo solco di interesse che l'Italia recita certamente un ruolo primario nella capacità di proporre diversità sia per territori che per vitigni e questo sta fortemente avvantaggiando il nostro paese nella competizione sui mercati internazionali. Ma anche in Francia è possibile trovare, sebbene in modo minore e più laterale, alcuni vitigni che per decenni non sono stati considerati dal mercato e che oggi trovato consensi, interesse e diffusione in importanti carte dei vini di ristoranti stellati, nelle enoteche e presso i consumatori.
Non sorprende che ad intraprendere questo percorso di riscoperta e valorizzazione siano stati principalmente i piccoli produttori artigianali che in diverse regioni vitivinicole hanno posto attenzione a ciò che di più originale e tradizionale potesse esserci nella loro specifica zona, così da poter incuriosire il mercato con vini unici, particolari e inimitabili.
Il caso Champagne
In Champagne è da almeno un decennio oramai che alcuni produttori récoltants-manipulants hanno dedicato attenzione, studio e investimenti nel rivalorizzare alcuni dei vitigni autorizzati alla produzione di Champagne oltre ai tre principali e predominanti chardonnay, pinot nero e pinot meunier che tutti conosciamo. Da disciplinare si può produrre Champagne anche da altri quattro vitigni quali pinot blanc, pinot gris (entrambi noti ai più, sebbene in altre zone) e dai molto meno conosciuti arbane e petit seslier.
Sono proprio questi ultimi due, che in assemblaggio ai vitigni predominanti della zona o in purezza per valorizzarli al meglio, meritano attenzione.
L'arbane è un vitigno molto antico e originario proprio della Champagne, in particolare della zona dell'Aube; dona vini delicati e floreali, con alcool abbastanza presente e dall'acidità sostenuta che garantisce un buon potenziale di invecchiamento. Purtroppo a causa della sensibilità alla peronospora, di una maturazione tardiva e di una buccia spessa che comporta qualche difficoltà in più al momento della pressatura, era stato a lungo abbandonato tanto da rischiarne l'estinzione: nel 1998 se ne contava un solo ettaro piantato in tutta la Champagne.
Il petit meslier, vitigno originario dell'est della Francia, nasce invece da un incrocio naturale avvenuto nel corso dei secoli tra i vitigni savagnin e gouias. Predilige suoli argillo-calcarei e quando arriva a maturazione mostra acini di colore dorato. Garantisce una buona produzione se non colpito da peronospora o muffa grigia a cui è particolarmente sensibile. Il vino che ne deriva ha una buona struttura ed una intensa componente aromatica fruttata molto elegante.
Da questi vitigni la Champagne può trovare delle soluzioni di ricchezza organolettica unica e incomparabile che possano creare dei vini fuori dal sentiero più classico.
La bandiera dello Jura
Il savagnin, citato in quanto genitore del petit meslier, è di per sé un altro vitigno bianco francese che sta vivendo una seconda giovinezza in termini di apprezzamento, in questo caso non perché fosse stato precedentemente abbandonato, dato che nella regione dello Jura lo si è sempre utilizzato per la produzione di vini bianchi e per il particolarissimo Vin Jaune, ma perché riscoperto a livello gustativo e commerciale nel corso degli ultimi anni.
Coltivato quasi esclusivamente in Jura di cui ne è l'immagine e la bandiera, oggi copre complessivamente appena 300 ettari e predilige suoli a prevalenza calcarea dove esprime aromaticità, complessità e una sferzante acidità da lungo potenziale di invecchiamento. La ragione del suo mancato apprezzamento nel corso degli scorsi decenni è stato dovuto allo stile tradizionale di vinificazione jurassiana, che prevede una spinta ossidativa controllata più o meno accentuata, non facilmente comprensibile ai più, soprattutto in un periodo di estremi tecnicismi in cantina.
Il cambio di passo avviene tra la fine degli anni '90 e gli inizi del nuovo millennio, quando alcuni produttori, per ovviare a questa difficoltà di mercato, decidono di vinificare il savagnin in vini fermi secchi senza metodo ossidativo, colmando le botti durante l'affinamento. Nasce così la tipologia di vini ouillés (letteralmente “colmato”) dove il savagnin dona vini bianchi di buona struttura e freschezza, dominati da note minerali, di agrumi e fiori bianchi, che è oggi la cifra stilistica principale dei vini bianchi jurassiani. Questa nuova via all'interpretazione del vitigno nel suo luogo d'elezione ha portato ad un'esplosione di popolarità internazionale di questa zona (non soltanto dei vini bianchi ma anche dei rossi dello Jura a base di poulsard e trousseau) tanto che oggi il 90% del vino viene venduto all'estero, quando fino alla metà degli anni '90 oltre l'80% delle bottiglie venivano invece bevute nella regione di origine. Un successo che ha poi ridato visibilità e forza anche all'interpretazione più tradizionale del savagnin jurassiano, quella ossidativa (pas ouillé, come si legge nelle carte dei vini) che rimane la più bella e completa espressione di questo vitigno: vini più potenti dall'estrema complessità aromatica con note di burro e sottobosco, frutta a polpa gialla, note di mandorla, frutta secca e spezie e dal lunghissimo potenziale di invecchiamento. Un vino da provare con una fonduta di Comté o con un Mont d'Or gratinato al forno per un abbinamento territoriale di eccezionale riuscita.
E i rossi?
Rimanendo in zona alpina, un vitigno rosso che è riuscito ad attrarre l'attenzione di professionisti ed appassionati, pur restando nella sua nicchia di produzione, è la mondeuse, uno dei più storici e distintivi vitigni della Savoia.
Se dalle zone più montane del versante alpino francese si ottengono spesso vini freschi e giovani dalla generosa e al tempo stesso fragile espressione fruttata, bassa intensità colorante e scarsa propensione all'invecchiamento, la mondeuse è una delle eccezioni al caso. Ne nasce un vino rosso dal colore rubino intenso con sfumature violacee, con un frutto succoso, che esprime note di violetta, lampone, prugna e cassis, accompagnate da una distintiva nota speziata di pepe bianco che riporta eleganza e freschezza nel bicchiere.
Il corpo è agile ma non magro, i tannini eleganti e ben si adattano ad un affinamento in legno. Un vino che, grazie alla sua freschezza ed eleganza, potremmo descriverlo come un compromesso ben riuscito tra le caratteristiche di un Gamay del Beaujolais e un Pinot Noir della Borgogna del Maconnais: un prodotto certamente da considerarsi in linea con un gusto contemporaneo di consumo. La sua riscoperta e valorizzazione fu opera negli anni '80 del produttore Michel Grisard dell'azienda Prieuré Saint Christophe; attualmente in Savoia ne sono coltivati soltanto 240 ettari, ma in ragione dell'interesse che sta riscontrando, sono in aumento di anno in anno.
Una gita in Jura
In Jura l'enoturismo non è ancora molto sviluppato, motivo per cui si riesce a vivere un'esperienza ancora fortemente autentica. Il consiglio è di alloggiare intorno ad Arbois, capitale del vino della regione, ad esempio presso l'Hotel des Messaggeries in pieno centro o al Chateau de Germigney per un'esperienza a cinque stelle. Da non perdere l'autentica fonduta a base di Comté de La Finette, locanda storica della zona; per una cena più gastronomica c'è “Le Bistronome” dove i prodotti di zona sono rielaborati in
chiave più moderna. Nel centro di Arbois ci sono molteplici vendite dirette di aziende vitivinicole come Stéphane Tissot, Domaine de la Pinte e Rolet, dove si può comodamente assaggiare ed acquistare.
Articolo originariamente apparso sul numero 2/22 di Vinetia Magazine.