Sandra Bertelle
Molise, ovvero il carneade tra le regioni italiane. Istituita nel 1963, ha una superficie di circa 4.440 km quadrati (superiore solo a quella della Valle d’Aosta) e meno di 300.000 abitanti. Incastrata e incuneata tra Abruzzo (cui fu amministrativamente legata fino al 1970), Puglia, Campania e, per un brevissimo tratto, Lazio, è spesso trascurata anche dai flussi turistici.
È scarsamente servita dai mezzi di comunicazione e decisamente poco conosciuta.
Si estende prevalentemente su territorio collinare e montano, dalla complessa orografia e ricco di corsi d’acqua. Il clima estivo è generalmente temperato e mediterraneo in tutta la regione, con importanti sbalzi termici in altitudine. Gli inverni possono essere rigidi e nevosi all’interno, miti nella minuscola fascia adriatica lunga una quarantina di chilometri.
Ha un’economia basata storicamente su agricoltura e allevamento, per lo più di ovini. Da qualche decennio è in atto la conversione di frutteti a favore della coltivazione di vite e ulivo, in grado di esprimere al meglio la territorialità. Pregevole anche la coltivazione di grano.
Nel panorama enologico italiano la viticoltura molisana è, come la regione stessa, relegata al ruolo di Cenerentola. Da qualche anno, illuminati e caparbi produttori impiegano risorse e fatica nel recupero del loro patrimonio enologico.
Non si tratta di impresa agevole e la produzione di quasi 300.000 ettolitri annui* (di cui circa un quarto Igp e Dop) non trova adeguato riconoscimento al di fuori del confine regionale. Il consumatore medio italiano si dimostra tradizionalista nelle sue scelte così è più semplice vendere nel Nord Europa o in Giappone.
La forma tradizionale di allevamento della vite è il tendone, ora in progressiva dismissione, infatti per i nuovi impianti si predilige la spalliera per facilitare e velocizzare le lavorazioni in vigna.
I vini rossi rappresentano circa il 59% del totale*. I vitigni maggiormente coltivati sono in gran parte comuni con le regioni limitrofe: trebbiano, falanghina e greco tra i bianchi, montepulciano e aglianico tra i rossi, ma la bandiera enologica del Molise è la tintilia. Si tratta di un’uva a bacca nera, caratterizzata da acini piccoli con buccia spessa, in grado di dare vini strutturati e freschi, dal tannino evidente ma, nello stesso tempo, agile nella beva. Le più recenti indagini genomiche hanno smentito l’ipotesi di affinità con vitigni di provenienza iberica (tempranillo e garnacha/ cannonau come si è a lungo creduto), contribuendo a ribadirne la personalità regionale. Raramente le tecniche di cantina risultano estreme: oculato è l’utilizzo del legno, con predilezione per materiali tendenzialmente neutri che non interferiscano con l’impronta odorosa dell’uva.
È recentissima, 9 gennaio 2023, la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea della modifica al disciplinare di produzione della Doc Tintilia del Molise. Prodotta nelle tipologie rosso, rosso riserva e rosato, deve contenere minimo il 95% di uve tintilia. La scelta delle aree vocate alla coltivazione, la tecnica colturale, la produzione e le rese massime sono regolamentate. A tavola ben si abbina con la cucina dell’entroterra: carni di agnello e di pecora, salumi (da assaggiare la pampanella, a base di carne semigrassa di maiale aromatizzata con peperoncino e aglio, e la ventricina, coscia di maiale con tutto il suo lardo).
Da aggiungere l’accoglienza del popolo molisano, desideroso di demolire il mito “il Molise non esiste”, mito dalla paternità incerta ma ancora troppo consistente.
*fonte Federvini per gli anni 2020/21