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Dalla redazione
lunedì 18 luglio 2022

Acidità, ghiaccio e Ninive

Alberto Costa


È facile dire che Morgex sia l’enclave italiana del Prié Blanc coltivato in soli 30 ettari in tutto il mondo, dei quali 7 sono vendemmiati dall’azienda vitivinicola Pavese, che fin dal ‘99 ha contribuito attivamente e con passione alla preservazione di questo vitigno. A parlarmene è Ninive, figlia di Ermes, che da quando ha 14 anni è impegnata nell’attività familiare: oggi, in particolare, si occupa degli aspetti commerciali e di accoglienza presso la bella cantina con vista sulla Grande Rochère, che con i suoi 3.326 m di altezza, fa da vedetta e da scudo contro i venti del nord alle cime dei valloni di Planaval e di Chambave.

L’azienda lavora uve provenienti da oltre 150 parcelle, alcune delle quali sono costituite da un solo filare, e in cui trovano dimora esclusivamente vigneti a piede franco, che per età superano anche i 90 anni. Tradizionalmente la forma di coltura praticata è quella della pergola bassa valdostana, fondamentale per assorbire anche il minimo calore ceduto dalle pietre che circondano le piante cresciute a quote che arrivano fino a 1.200 mt. Queste vigne non amano l’acqua che, caduta particolarmente abbondante nella primavera ’21, è stata causa di un raccolto quasi dimezzato rispetto alla media già poco generosa. I reimpianti non prevedono alcuna irrigazione, nemmeno quella di soccorso, come recentemente recepito anche dal disciplinare di produzione Valle d’Aosta DOP - Blanc de Morgex et de La Salle, per abituare le piante a condizioni siccitose in modo che affondino le loro radici in quei terreni montani ricchi di minerali.

Sebbene ve ne sia traccia in alcuni testi ecclesiastici che ne testimoniano la presenza a Morgex sin dal XIII secolo, sembra che da queste parti il vino bianco non abbia mai goduto di grande successo tra i locali, probabilmente per la difficoltà della lavorazione, che non sempre garantisce prodotti di qualità. L’indomabile acidità, oggi riscoperta quale suo vero punto di forza, sembra però destare qualche preoccupazione tra i produttori impegnati nel valorizzarla: attenti alle dinamiche del mercato, si rendono conto del fatto che potrebbe essere attenzionata per un utilizzo in taglio in vini prodotti fuori da questo ristretto areale (soprattutto per la produzione di metodo classico), togliendo così spazio ad un prodotto da considerarsi di nicchia. Anche dal punto di vista genetico si conosce poco di quest’uva, se non che ha un genitore rosso e che con ogni probabilità arriva dalla confinante Svizzera: l’approfondimento di questi aspetti, fondamentali per comprendere e migliorare la lavorazione dei vigneti e del prodotto in cantina, sono il dichiarato futuro impegno per la giovane vigneron valdostana, da sempre attiva e fermamente convinta nella promozione dei propri vini autoctoni.

La piccola quanto ordinata cantina, comunque capace di sfornare circa 40.000 bottiglie all’anno, propone 10 etichette (al netto delle riserve) vinificate in vasche di acciaio; per i cru aggiunge 9 tonneau usati fino al quarto passaggio e 2 anfore di gres porcellanato clayver; in cantina si bada al pratico: le quantità spesso ridottissime non permettono ragionamenti di vinificazione in termini parcellari, ma proprio l’eterogeneità della materia prima è ciò che consente al produttore un così consistente numero di etichette in ragione di un’unica varietà di uva coltivata. 

 

La degustazione:

Per convincermi di questo, Ninive mi ha proposto la seguente batteria, che vi presento rigorosamente nel suo ordine di servizio:

1.  BLANC DE MORGEX ET LA SALLE ’20 – SENZA SOLFITI

2.  BLANC DE MORGEX ET LA SALLE ’19 in formato MAGNUM

3.  ESSEME ’18: ottenuto da macerazioni perfettamente gestite, fermentazioni e affinamenti che nei primi due anni di vita si svolgono all’interno di clayver, reinterpretazione moderna dell’anfora; non trovo nulla di alieno al vino, ma più relax nel sorso. Al naso si fanno largo profumi non percepiti nei fratelli minori che lo hanno preceduto nella odierna batteria d’assaggio: un sottile ed elegante bouquet di camomilla e ginestra anticipa netti sentori minerali; è un fresco graffio, seppur più smussato del solito, che, sostenuto da un percettibile plateau sapido, chiude in un piacevole ammandorlato.

4.  LE 7 SCALINATE’18 in formato MAGNUM

5.  NATHAN ’19: il secondo dei cru assaggiati è da dibattito per i puristi del “less is more”; progetto perfettamente riuscito per accontentare i nasi e i palati con orientamento più borgognone, dove l’essenza lignea non è ammessa, ma anzi è proprio la chiave di completamento del vino. Personalmente ho trovato un uso magistrale delle tonneau, che ne ha reso il tocco tostato tutt’altro che invadente, creando un nettare più confortevole e strutturato, che aggredisce meno il palato con la sua proverbiale freschezza, amplificandone la persistenza e rendendolo dunque il più gastronomicamente abbinabile tra gli assaggiati del giorno.

6.  PAVESE XXIV MESI ’18 – METODO CLASSICO

7.  PAVESE XXXVI MESI ’16 – METODO CLASSICO

8.  PAVESE XLVIII MESI ’16 – METODO CLASSICO: pas dosè ottenuto con volè alla mano e ricolmato con lo stesso millesimo, quindi si può osare dire esente da liqueur d'expedition. Una formidabile lama per veri bomber, che lascia una rasatura di velluto accompagnata da un sapiente massaggio palatino di finissime bollicine. Il pan brioches si aggiunge alle varietali note del Priè Blanc, mentre la bocca si esalta in un perdurante bassorilievo scolpito nel minerale.  

L’apparentemente anticonvenzionale ordine di servizio scelto, in realtà, mi ha permesso di apprezzare fino in fondo quanto il metodo classico sia l’esaltazione delle caratteristiche, talvolta solo intuibili, nei vini fermi assaggiati, e che di fatto ne costituiscono le basi; i marcatori sensoriali non vengono snaturati né al naso né al palato, ma anzi sembrano trovare completamento nella doppia fermentazione e, a mio gusto, un miglior equilibrio ed una complessiva maggiore armonia.

Mi congedo ringraziando Ninive ed acquistando un magnum che porta proprio il suo nome, un più che raro icewine valdostano prim’ancora che italiano, che rappresenta l’essenza orgogliosa ed il futuro roseo di questo territorio.

 

 
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