Federica Spadotto
Quella di giovedì 17 marzo non è stata una serata come le altre.
In queste occasioni siamo abituati a condividere con sommelier esperti e produttori le etichette territoriali più significative, che diventano le primedonne indiscusse della scena; mai ci saremmo aspettati che il relatore Matteo Bellotto avrebbe esordito dicendo:
“Cercherò di parlare il meno possibile di vino, bensì di uva”.
Con un sorriso accattivante ha iniziato a raccontare il suo “luogo dell’anima”, ovvero i Colli Orientali del Friuli Venezia Giulia, partendo dalla natura e conformazione del suolo, in grado di donare ai suoi vini quell’identità inconfondibile; per proseguire con il clima -“ogni vino ha una mamma ed un papà: la terra ed il vento”-, l’origine e la fortuna dei vitigni, la loro mappatura eseguita dal Consorzio ubicato a Corno di Rosazzo con un’attenzione maniacale ad ogni dettaglio, in modo da accondiscendere i cicli naturali per garantire la migliore qualità del frutto.
Nessun “effetto speciale”, nessuna slide, soltanto una carta geografica descritta da una voce sicura, accattivante, esperta e quasi ipnotica, come ha sottolineato Alberto Romanato, delegato AIS di Padova.
Proprio quest’ultimo ha alzato il primo calice, una Ribolla Gialla DOC Rosa Bosco Azienda De Puppi 2020, che apre, con il suo inebriante ventaglio di sfumature odorose, un vero e proprio excursus di eccellenze della medesima annata - fatta eccezione per il Ramandolo -, scandito da proverbi, ricordi, aneddoti.
Particolarmente gustoso quello inerente il “Friulano”, degustato nell’interpretazione dell’azienda Il Roncal e definito da Matteo il “vino con cui sono cresciuto”: quello delle osterie, semplice e schietto come la convivialità di paese, ma allo stesso tempo gradevole in virtù della prorompente freschezza.
Molto diverso, invece, il Sauvignon DOC di Scubla: ottenuto dal melange tra un clone friulano e tre francesi, avvolgente e raffinato, inebriante al naso e persistente al palato, vero e proprio anfitrione della serata.
Lo Schioppettino della giovane azienda Spolert rappresenta, invece, l’altra faccia del suo territorio: ruvida e vigorosa, con i suoi sentori di pepe nero ed una tannicità spiccata, schietta come la verità.
Il Refosco dal Peduncolo Rosso di Rocca Bernarda si pone, invece, come metafora di quella “religione del lavoro” che sigilla la cultura friulana, caratterizzato da una bassa resa per ettaro che amplifica il carattere austero del vitigno, espresso dal tipico retrogusto amarognolo e da importanti tannini appena smorzati dalla fermentazione malolattica.
Per congedarci il nostro ospite ha scelto un vero e proprio fiore all’occhiello, il Ramandolo “Il Longhino” DOCG prodotto dall’Azienda Dario Cos nell’annata 2018, in cui l’estate calda mitigata dalle abbondanti piogge determina una vendemmia eccellente, “madre” di un vino dolce estremamente equilibrato, in cui i tipici sentori di di frutta candita e spezie convivono con note di freschezza e mineralità per nulla scontate.
Riesce addirittura ad accompagnare un montasio stagionato - gentilmente offerto dall’omonimo Consorzio - senza soggiogarne la personalità, mentre ci ricorda che l’elegante prosciutto di San Daniele, secondo testimonial gastronomico della serata, è in grado di accondiscendere sia i ruvidi vini rossi, sia i più riservati bianchi.
A ricordarci che, dopotutto, è un fatto di armonia tra anime, luoghi, caratteri diversi, chiamati ad incontrarsi a tavola, in uno dei tanti paesi friulani dove il silenzio assomiglia ad una melodia.