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Dalla redazione
martedì 10 agosto 2021

C’è del "torbido" a Valdobbiadene

Spunti di riflessione sul Prosecco Col Fondo

Massimo Zardo


Per carità non siamo nella Danimarca di Amleto e Shakespeare, ma anche nel Conegliano-Valdobbiadene, ovvero la punta di diamante dell’universo Prosecco, che macina numeri impressionanti da ormai più di dieci anni, qualcosa non torna. Sto parlando della questione Col Fondo. Un velo, non di lieviti in autolisi ma di indifferenza, offusca la definitiva consacrazione di questa tipologia, che riscontra un grande successo tra gli appassionati, ma che invece pare essere poco considerata dagli organi di tutela e dalle istituzioni. Per adesso i Col Fondo ricadono all’interno del disciplinare del Conegliano-Valdobbiadene Docg, ma sembra che addirittura se ne stia programmando l’esclusione. Certo, i numeri non aiutano. I Col Fondo sono una piccolissima percentuale nel mare magnum del Prosecco, che sembra aver puntato tutto sul metodo Charmat, e perciò non attirano l'attenzione delle grandi cantine: comunque se ne parla e lo si promuove troppo poco.

Le cause sono molteplici, ma la piccola produzione, il grande impegno richiesto, soprattutto in vigna, e tempi lunghi per un corretto affinamento non dovrebbero essere motivi validi per mettere in disparte una tipologia – quella dei rifermentati in bottiglia - che qui probabilmente ha avuto le sue origini. Un' ulteriore problematica da non sottovalutare è che “Colfondo” è a tutti gli effetti un marchio registrato da due importanti aziende della zona, e quindi di fatto inutilizzabile da tutti gli altri. Situazione complicata insomma, ma qualche spiraglio c’è.

Pochi giorni fa ho avuto il piacere di partecipare a un incontro di giovani produttori che credono fortemente nel Col Fondo, e accanto all’entusiasmo e alla voglia di fare si respirava un’aria di incertezza per una situazione di stallo, da cui non si sa bene come uscire. E pensare che i vini che abbiamo assaggiato erano straordinari per pulizia e per rispondenza territoriale, ben marcati dal tipo di terreno, salini e di una longevità che da queste parti non si era mai vista. L’impressione è che questi vini, per qualità e piacevolezza, abbiano raggiunto la piena maturità, e che passata la moda di rifermentare in bottiglia qualsiasi cosa capiti a tiro siano tra i pochi destinati a rimanere.

Come se esce? La risposta non è affatto semplice. Oltre che con l'impegno e la dedizione, una possibile soluzione ce la fornisce Robert Joseph con un suo articolo da poco uscito su Meininger dal titolo “Brand first, appellation second” in cui, con un' analisi disincantata, spiega come la creazione e la promozione di un marchio collettivo al di fuori delle denominazioni sia a volte più importante dell’appartenenza alla denominazione stessa. Una dinamica che ben si adatta alla questione, e che l’associazione Vignaioli Indipendenti Trevigiani appartenenti alla FIVI sta in qualche modo mettendo in pratica attraverso l'interessante progetto del “Colfondo Agricolo”. Per il momento non ci resta che aspettare, magari con in mano un calice di Col Fondo dalla beva pericolosamente facile, auspicando un grande futuro per il nostro amato vino torbido.

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