Morello Pecchioli
In occasione di un viaggio a Londra dello scià di Persia Nasser al-Din Qajar, verso la fine dell’Ottocento, durante il banchetto ufficiale offerto dal principe di Galles Edoardo, futuro re Edoardo VII, vennero serviti vassoi di asparagi in onore del sovrano che ne era ghiotto. Lo scià di Persia iniziò a mangiarli come faceva da sempre: ignorando la paletta d’argento disposta in fila con le altre posate afferrò il primo con le dita, staccò la punta con un morso e gettò il resto del turione alle sue spalle. Così fece col secondo e col terzo. Dopo un attimo di imbarazzo generale, Edoardo, non volendo che il suo regale ospite s’accorgesse di essere agli occhi degli inglesi un regale sudicione, molto diplomaticamente lo imitò. Superando il proverbiale aplomb anglosassone, i convitati si sentirono autorizzati a fare lo stesso. Dopo dieci minuti, tra la trasgressiva allegria generale, i magnifici isfahan e kirman del salone di ricevimento furono ricoperti da uno strato di asparagi scapitozzati. Un letamaio.
L’episodio pone una questione d’etichetta moderna: possiamo usare le dita per portare gli asparagi alla bocca? Dipende. Se i turioni sono rigidi come i bianchi di Bassano o di Verona, sì, come si fa con le verdure in pinzimonio. Se invece hanno la punta che ciondola di qua e di là (quelli piccoli verdi) è poco elegante inseguirla con la bocca. Meglio usare forchetta e coltello. O la pinzetta fornita nei ristoranti à la page che fa molto fino.
Parliamo di asparagi perchè la stagione è iniziata. L’argomento è stato affrontato anche in passato, ma questo fantastico ortaggio ha tanto altro da raccontare. A cominciare dal bene che fa questa pianta erbacea della famiglia delle gigliacee, parente, quindi, dell’aglio e della cipolla. Linneo, il botanico svedese padre della classificazione binomiale, lo chiamò Asparagus officinalis, cioè terapeutico per le proprietà medicamentose note fin dall’antichità: depura, favorisce la diuresi, è ricco di fibra, di vitamine A, B1, B6, C, carotenoidi e sali minerali come calcio, fosforo e potassio. Gli asparagi sono particolarmente adatti alla dieta ipocalorica: contengono solo 25 calorie e zero colesterolo, sono poveri di sodio. Stimolano l'appetito, riducono il ristagno di liquidi nei tessuti, il che aiuta ad eliminare la cellulite. Attenzione, però: chi soffre di disturbi alle vie urinarie non deve abusarne, possono favorire i calcoli ai reni.
L’asparago è originario della Mesopotamia, l’odierno Iraq. Da qui si diffuse in Egitto, in Grecia (il filosofo Teofrasto 300 anni prima di Cristo ne tessette l’elogio) e a Roma. Marco Porcio Catone ne parla nel De Agricoltura, Marziale negli epigrammi elogia gli asparagi di Ravenna, Plinio il Vecchio li cita nella Naturalis Historia. Svetonio nella Vita dei Cesari racconta che Augusto era golosissimo di asparagi e se li faceva arrivare da ogni dove. Quando dava un ordine a qualche messaggero gli ordinava di eseguirlo «velocius quam asparagi coquantur», cioè più veloce di quanto ci mettono gli asparagi a cuocere. Il che dimostra che Augusto e gli antichi romani apprezzavano i turioni al primo bollore per mantenerne la fragranza.
Dal 1500 iniziò la coltivazione dell’asparago in Francia, che giunse all’apice della popolarità nel 1600, alla corte di Luigi XIV: il celebre giardiniere La Quintinye riusciva a far gustare asparagi coltivati sotto serra al ghiotto Re Sole perfino nel mese di dicembre. Il re lo ripagò erigendo a Versailles un obelisco in suo onore. Per i francesi gli asparagi sono “un piatto filosofico”. Nel Settecento due loro filosofi di fama, Bernard Le Bovier Fontenelle e Chrétien-Guillame de Lamoignon de Malesherbes, stravedevano per gli asparagi. Malesherbes, in particolare, perdeva la testa per un piatto di asparagi. Accusato di cospirazione nel periodo del terrore, la perse davvero sotto la ghigliottina.
Altro gourmand di turioni fu il cardinale Guillaume Dubois, in feroce disputa con Fontanelle, che sosteneva che l’unico condimento adatto era l’olio. Dubois, al contrario, sosteneva che non c’era niente di meglio che gustarli col burro sciolto e caldo. Conoscendo i loro gusti la marchesa di Tencin, amica di entrambi, li invitò ad una asparagiata (aveva ricevuto una bella fornitura da Marsiglia) ordinando al cuoco di condirne metà all’olio e metà al burro fuso. Fontanelle arrivò al palazzo della marchesa in perfetto orario. Il cardinale no. Al suo posto giunse trafelato il segretario che, angosciato, annunciò che il suo padrone, colto da una sincope, era morto. Mentre la marchesa, addolorata, si abbandonava alle lacrime, Fontanelle si precipitò verso le cucine gridando: «Tutti all’olio gli asparagi, tutti all’olio». Poi tornò e porse le condoglianze al segretario del povero Dubois rispetto al quale campò molto più a lungo. Morì a cent’anni. Il che ci fa pensare che in fatto di condimento avesse ragione lui.
Sulla fama afrodisiaca degli asparagi ci sarebbe da scrivere un trattato. A crearla è stata prima di tutto la forma, lunga e turgida; poi la velocità di crescita dei germogli (turioni) che in un paio di giorni, sviluppandosi dal rizoma, il fusto sotterraneo che si allunga sottoterra orizzontalmente, raggiungono anche i 25 cm di lunghezza. Anticamente contro la frigidità femminile si consigliavano punte di asparagi avvolte nei petali di rose, da ingerire come pillole. Per curare l’impotenza maschile ci volevano asparagi più sviluppati. Fino a qualche anno fa (ma c’è chi lo fa ancora) a Bassano del Grappa dove si producono asparagi molto... dotati, questi erano il piatto obbligatorio, con finalità propiziatorie, del pranzo nuziale. Al potere afrodisiaco degli asparagi credette fortemente Madame de Pompadour, amante di Luigi XV, che, racconta Renzo Pellati nella Storia di ciò che mangiamo, «si faceva preparare coppe d’acqua provenienti dalla bollitura di asparagi che trangugiava con grandi speranze». Per Isabel Allende, in Afrodita, i più afrodisiaci sono «quelli dal gambo grosso, di colore pallido e dai germogli tra il rosa e il viola. Devono rimanere compatti- a nessuno piace il proprio vegetale vizzo- ed è per questo che conviene cucinarli legati con le punte verso l’alto, così la base, che è più dura, cuoce bene e le punte restano croccanti». Luigi Arnaldo Vassallo, giornalista, epigrammista e scrittore ligure, sarebbe stato d’accordo: gli asparagi, secondo lui, sono come gli epigrammi: «Tutto il buono sta nella punta».
A Marcel Proust gli asparagi procuravano tutt’altra eccitazione, colori, sapori e odori particolari: «Sostavo rapito davanti agli asparagi aspersi d’oltremare e di rosa e il cui gambo declina fino al piede in iridiscenze che non sono terrene. Mi sembrava che quelle sfumature celesti palesassero le deliziose creature che s’eran divertite a prender forma di ortaggi e che lasciassero vedere in quei colori nascenti d’aurora, in quegli abbozzi d’arcobaleno, in quell’estinzione di sete azzurre, l’essenza preziosa che riconoscevo ancora quando, l’intera notte che seguiva ad un pranzo in cui ne avevo mangiati, si divertivano a mutar il mio vaso da notte in un’anfora di profumo». Eau de toilette.
L’asparago è particolarmente diffuso in Asia. Ma si coltiva pure in tutto il continente americano e in Europa. La Cina produce quasi otto milioni di tonnellate di asparagi, pari all’87 per cento della produzione mondiale. Come possono i nostri asparagi - i bianchi di Bassano, i bianchi e i verdi di Verona, i rosa di Mezzago, i violetti di Albenga, gli emiliani, i toscani, i trentini, i friulani - combattere contro Golia? Risponde Emidio Bedendo, ex ciclista di successo, produttore di asparagi e presidente del Consorzio per la valorizzazione dell’asparago veronese: «Con la qualità, la tipicità e la freschezza del prodotto. L’asparago deve passare dal campo alla tavola prima possibile. Ogni ora che passa perde una delle sue fantastiche proprietà».
Pubblicato da La Verità